Il discorso
“Ci salveranno i privati”. A Dubai l'ottimismo climatico di re Carlo
Altro che catastrofismo. Il sovrano britannico offre un manifesto pragmatico per affrontare i cambiamenti climatici attraverso il mercato e le imprese
Cinque riflessioni pratiche e due consapevolezze. La prima: “Se non ripariamo e ripristiniamo rapidamente un’eccezionale economia della Natura, basata sull’armonia e sull’equilibrio, le nostre stesse economia e sopravvivenza saranno messe in pericolo”. La seconda: “La sola finanza pubblica non sarà mai sufficiente a raggiungere lo scopo. Ma con il settore privato saldamente coinvolto potremmo mobilitare i 4-5 trilioni di dollari l’anno di cui abbiamo bisogno per guidare la trasformazione”. Il discorso di re Carlo d’Inghilterra alla Cop 28 di Dubai è una sintesi perfetta di pragmatismo ambientalista e ottimismo climatico: l’umanità ce la può fare. Grazie a uno sforzo comune e grazie, soprattutto, agli strumenti che il mercato ci mette a disposizione. Il settore privato, con la sua efficienza dettata dalla ricerca dell’orrido profitto, è il vero motore della transizione ecologica.
E dunque eccole le “practical questions” poste da Carlo. La prima è proprio questa: affidarsi ai privati per sostenere la transizione ecologica. Andare oltre alle politiche messe in campo dalle istituzioni multilaterali, dai governi e dalle organizzazioni non governative. Per farlo, ed è la seconda questione affrontata nello speech del re d’Inghilterra a Dubai, serve indirizzare i flussi finanziari verso le scelte più sostenibili. Anche in questo caso è il mercato a venire in soccorso dell’ambientalismo. Non serve inventarsi nulla. In particolare, un ruolo cruciale lo può giocare il settore assicurativo. Spiegava ieri il sovrano britannico davanti alla platea del World climate action summit: “Le assicurazioni svolgono un ruolo fondamentale nell’incentivare approcci più sostenibili e nel fornire una preziosa fonte di investimenti per ridurre i rischi che affrontiamo in questa sfida”. La terza “question” riguarda invece lo sforzo che è necessario fare per incentivare la diffusione dell’energia rinnovabile e delle tecnologie pulite. Con la consapevolezza che è sempre l’adozione di queste pratiche da parte delle aziende che si affronta il problema climatico, sono loro a dare sostanza alla transizione. “Ad esempio, come possiamo aumentare gli investimenti nell’agricoltura rigenerativa, che può essere un serbatoio di carbonio positivo per la natura?”, si chiede Carlo prima di aprire al quarto punto del suo intervento, un manifesto d’ottimismo climatico.
D’altronde è tutta l’industria nel suo insieme che deve convertirsi, ma a differenza di quanto dicono i catastrofisti climatici il sovrano sottolinea che è “incoraggiante vedere lo sviluppo di piani di transizione industriale, sia a livello nazionale che globale, che aiuteranno ogni settore della nostra economia globale a intraprendere percorsi pratici verso un futuro a zero emissioni di carbonio”. Insomma, ci stiamo già muovendo. Ma dobbiamo accelerare. L’ultimo punto posto da Carlo riguarda la sfida più ambiziosa: come si forgia “una nuova visione per i prossimi 100 anni”? Anche qui il re risponde con il pragmatismo che serve. Nessun cero d’accendere a Madre natura, per disegnare il futuro “possiamo” o forse dobbiamo “attingere alla straordinaria ingegnosità delle nostre società – le idee, la conoscenza e l’energia dei nostri giovani, dei nostri artisti, dei nostri ingegneri, dei nostri comunicatori”.
Il mondo è a rischio: “Ho visto nel Commonwealth terre divorate dal climate change. Paesi vulnerabili come Vanuato, Dominica, India, Bangladesh, Pakistan e Africa. E la scorsa estate anche Spagna, Usa e Canada con ettari di terre distrutte da incendi ”, dice Carlo. La strada per affrontare la crisi climatica è tracciata: ora è il momento di fare in fretta. “Nel 2050 i nostri nipoti vivranno con le conseguenze di quanto abbiamo fatto o non abbiamo fatto”, ammonisce. “Siamo tutti connessi in questo grande e sacro sistema. Noi apparteniamo alla Terra e non viceversa”.
l'editoriale dell'elefantino
C'è speranza in America se anche i conservatori vanno contro Trump
tra debito e crescita