Editoriali
Il gran lavoro di Biden, sul lavoro
Quasi 200 mila occupati in più a novembre e disoccupazione ai minimi. Dati che però non è detto siano sufficienti a garantire la rielezione contro Trump
Negli Stati Uniti quasi 200 mila posti di lavoro in più a novembre, 199 mila per la precisione, sono un dato per certi versi inaspettato, che segnala una crescita più duratura e robusta di quanto si immaginasse, trainata evidentemente dalla liquidità accumulata negli anni della pandemia. L’aumento dell’occupazione include circa 40 mila addetti dell’automotive e di settori correlati, che sono tornati al lavoro dopo i lunghi scioperi (o che erano stati bloccati dagli scioperi). Secondo il dipartimento del Lavoro americano il tasso di disoccupazione è sceso al 3,7 per cento, uno dei livelli più bassi dalla fine degli anni Sessanta. Il mercato del lavoro è molto robusto sia perché aumentano gli occupati sia perché si riducono gli inattivi, che entrano nel serbatoio di persone in cerca di occupazione che sono i disoccupati.
Questo andamento, che riduce la scarsità di lavoro, dovrebbe alleggerire le pressioni inflazionistiche e quindi essere compatibile con la politica monetaria della Federal reserve che punta a riportare l’inflazione all’obiettivo del 2 per cento. La crescita occupazionale, in aumento rispetto a ottobre, è comunque sotto la media annuale. La traiettoria dell’economia americana sta comunque andando verso l’atterraggio morbido (soft landing), ovvero un raffreddamento dell’inflazione senza entrare in recessione, a cui punta la Fed. Questi dati, probabilmente, indurranno Jerome Powell a evitare ulteriori rialzi. Dal canto suo, Joe Biden ha rivendicato che sotto la sua amministrazione sono stati creati “oltre 14 milioni di posti di lavoro”, mentre “il tasso di disoccupazione è rimasto al di sotto del 4 per cento per 22 mesi consecutivi e l’inflazione è scesa di due terzi”. Sono sicuramente dati positivi, e certamente le previsioni erano peggiori, ma non è detto che siano sufficienti a garantire la rielezione contro Donald Trump, perché gran parte dell’elettorato, quello più colpito dall’inflazione, è comunque insoddisfatto della situazione economica.
L'editoriale dell'elefantino