Editoriali
Il metodo russo a Belgrado
Continuano le proteste contro i brogli di Vucic che denuncia le ingerenze straniere
Le proteste in Serbia sono iniziate la sera del 17 dicembre, il giorno delle elezioni anticipate vinte dal partito del presidente Aleksandar Vucic con il 47 per cento dei voti e contestate dagli osservatori internazionali dell’Osce che hanno rilevato delle irregolarità, che per i manifestanti sono diventati brogli. Prima di Natale, gli scontri con le forze dell’ordine si sono fatti più violenti, i manifestanti hanno cercato di introdursi nel palazzo del Parlamento, le forze dell’ordine li hanno ricacciati indietro, ci sono state decine di arresti – e qualche esponente dell’opposizione ha iniziato lo sciopero della fame.
Marce e sit-in si sono spostate davanti al Palazzo di Giustizia: i manifestanti chiedono la liberazione degli arrestati e gridano che l’unico che dovrebbe finire in galera è Vucic, almeno fino a quando non rende pubblici i registri elettorali. Vucic dice, seguendo il manuale caro a Mosca, che le proteste sono finanziate da “agenti stranieri” che vogliono importare a Belgrado le “rivoluzioni colorate”, che ce l’hanno con lui a causa dei suoi rapporti amichevoli con il Cremlino e che, “come dei bambini”, non sanno ammettere di aver perso. L’ambasciatore russo a Belgrado, Alexander Botsan-Kharchenko, ha detto che Vucic ha “prove inequivocabili” dell’ingerenza straniera nelle proteste; il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha confermato che l’intervento di una “terza parte” nelle proteste è chiaro; e il ministero degli Esteri russo, per bocca della sua ineffabile portavoce Maria Zakharova, ha dichiarato: “Il tentativo dell’occidente di alterare la situazione in Serbia usando le tecniche del golpe del Maidan (ucraino) sono ovvi”. Marinika Tepic, una dei leader dell’opposizione in sciopero della fame, dice che la reazione del governo sarà un test per capire quanto la Serbia vuole stare vicina all’Europa. A giudicare da questi primi dieci giorni, e dopo molti tentativi di appeasement da parte soprattutto degli Stati Uniti preoccupati per la recrudescenza in Kosovo e determinati a non lasciare la Serbia nell’area di influenza russa, il test sembra mezzo fallito.
L'editoriale dell'elefantino