Proteste davanti alla corte internazionale di Giustizia - foto Ansa

L'editoriale del direttore

L'Aia dovrebbe processare l'Iran, non Israele

Claudio Cerasa

Gli houthi nel Mar Rosso. Hezbollah in Libano. Hamas a Gaza. E poi l’odio contro gli ebrei, l’esportazione del terrore, le armi a Putin. Alla corte penale internazionale si dovrebbe discutere subito di come fermare il terrorismo iraniano e non di come delegittimare lo stato ebraico

A volte bisognerebbe semplicemente ascoltare, aprire gli occhi e prendere sul serio ciò che dicono i nemici dell’occidente: “Allahu Akbar, morte all’America, morte a Israele, una maledizione sugli ebrei, vittoria all’islam”. A volte bisognerebbe semplicemente aprire gli occhi, unire i puntini, guardare le mappe e chiedersi come sia possibile che a essere sotto processo oggi, al tribunale dell’Aia, ci sia Israele e non l’Iran. Patrick S. Ryder è un ufficiale militare americano. Lavora da anni come maggior generale dell’Aeronautica e dal 4 agosto 2022 è il portavoce del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. L’11 gennaio, poche ore prima che gli Stati Uniti insieme con la Gran Bretagna attaccassero le postazioni degli houthi nello Yemen, Ryder ha parlato a lungo della situazione nel Mar Rosso e ha offerto alcuni spunti di riflessione preziosi. Ha ricordato che da novembre a oggi si stima che le forze statunitensi insieme con quelle britanniche e francesi abbiano abbattuto, nei pressi del Mar Rosso, 15 missili, 79 droni e tre motoscafi degli houthi – tutti indirizzati a più riprese verso rotte marittime internazionali, dove dozzine di navi mercantili erano in navigazione.

 

 

Ha aggiunto che, da metà novembre, gli attacchi degli houthi rivolti alle navi internazionali – attacchi che hanno costretto alcune delle più grandi compagnie di navigazione del mondo a smettere di navigare attraverso il Mar Rosso e il canale di Suez e a spedire le navi in viaggi molto più lunghi intorno all’Africa, provocando l’aumento dei prezzi dei prodotti e l’interruzione della catena di approvvigionamento – sono stati ventisette. E che gli attacchi portati avanti dagli stessi miliziani yemeniti sono stati 53 in Iraq e 77 Siria (in un solo giorno, il 18 ottobre, secondo il Comando centrale degli Stati Uniti, 20 militari americani sono rimasti feriti in un attacco di droni alla base militare di al Tanf in Siria e altri quattro in un altro attacco di droni alla base aerea di al Asad in Iraq). Ryder ha quindi affermato con decisione che “gli Stati Uniti faranno ciò che è necessario per contrastare e sconfiggere le minacce degli houthi nel Mar Rosso”. Nella consapevolezza che negli Stati Uniti “sappiamo che questi sono gruppi sostenuti dall’Iran”, sappiamo che “gli houthi sono finanziati, addestrati ed equipaggiati in larga misura dall’Iran” e sappiamo che “l’Iran ha un ruolo da svolgere nel contribuire a porre fine a questa attività sconsiderata, pericolosa e illegale”. Se gli ayatollah, ha concluso Ryder, “dovessero scegliere di non farlo, ancora una volta, come sottolineato nella dichiarazione della coalizione internazionale, ci saranno delle conseguenze”. L’Iran, già.

 

 

Le tensioni nel Mar Rosso, se mai ce ne fossimo dimenticati, sono lì a ricordarci che l’Iran è il più grande stato sponsor del terrorismo al mondo. L’Iran ha una rete di gruppi terroristici che sostiene con forza, come Hamas, a cui ha offerto il massimo sostegno nell’organizzazione e nella rivendicazione degli attacchi del 7 ottobre. Ha una rete che comprende il Jihad islamico palestinese a Gaza, Hezbollah in Libano (che hanno munizioni a guida di precisione,  un inventario da 150.000 a 200.000 di mortai, razzi e missili per gentile concessione della Repubblica islamica dell’Iran), gli houthi nello Yemen (Biden ha rimosso gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche all’inizio del suo mandato) e diversi altri gruppi in Iraq e Siria (per non parlare dei metodi da terroristi usati contro i dissidenti nel suo paese: chiedere a una donna a Teheran che vuole manifestare senza velo). E ogni volta che ne ha la possibilità, l’Iran fa un passo per destabilizzare l’occidente, attaccare le democrazie liberali e colpire i nervi scoperti delle società aperte. Prendete l’Ucraina, per esempio.

 

 

Nell’ottobre del 2022, un anno e mezzo fa, il Pentagono ha confermato l’uso delle armi di Teheran nella guerra in Ucraina. Pochi giorni fa, il Wall Street Journal ha citato un rapporto secondo il quale la Russia sta progettando di acquistare missili balistici a corto raggio dall’Iran. “I progressi in questa regione – ha detto Henry Kissinger poco prima di morire, riferendosi al medio oriente – passano dalla presenza diretta e attiva della diplomazia americana. Gli Stati Uniti devono fare di tutto per rivitalizzare il proprio ruolo storico nell’area. Ma questo richiede che l’America riconosca che, mentre Gerusalemme rinnova il suo contributo per portare avanti un ordine regionale duraturo, non ci sarà mai pace duratura finché l’Iran circonderà Israele con decine di migliaia di armi avanzate”. La guerra a bassa intensità con l’Iran è ormai parte del film del conflitto in medio oriente. Il 23 dicembre, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha annunciato la formazione di una forza internazionale di sicurezza marittima, il cui obiettivo è frenare le attività iraniane nel Mar Rosso (l’Italia ha firmato il 3 gennaio, insieme con altri tredici paesi, un ultimatum contro gli attacchi nell’area delle forze houthi, ma non ha invece firmato il comunicato di sostegno agli attacchi della scorsa notte in Yemen, a differenza della Germania, dell’Olanda e della Danimarca). La scorsa settimana, ancora, l’Amministrazione Biden ha ucciso a Baghdad Moshtaq Talib al Saadi, leader di Harakat Hezbollah al Nujaba, una milizia filoiraniana. Il 9 gennaio, poi, Ali Hussein Barji, il comandante delle forze aeree di Hezbollah nel sud del Libano, è stato colpito, da un attacco israeliano, in un’auto nella città di Khirbet Selm, poco prima del funerale dell’alto comandante di Hezbollah Wissam al Tawil, ucciso ieri. Il 2 gennaio, infine, il numero due di Hamas, Saleh al Arouri, è stato ucciso a Beirut dagli israeliani.

 

 

Ovunque ci si giri nel mondo, l’Iran è pronto a fare un passo per destabilizzare l’occidente, colpire le società aperte, imporre l’estremismo islamista, alimentare l’antisemitismo e portare avanti in tutte le forme possibili il suo obiettivo prioritario: cancellare  dalla mappa Israele, colpire in tutti i modi possibili i paesi alleati di Israele e dare sostegno alle milizie radicali in tutto il medio oriente che aiutano l’Iran a combattere quella che Khamenei definisce “la cospirazione ebraica che controlla l’occidente”. Dal 1979, anno della rivoluzione iraniana, l’Iran ha al centro della sua agenda politica la distruzione di Israele. E il fatto che l’Iran, nell’indifferenza complice delle Nazioni Unite, sia al centro dell’asse del male che punta a destabilizzare in giro per il mondo l’occidente, dovrebbe farci ricordare ancora una volta quanto difendere Israele significhi difendere non solo la libertà del popolo ebraico ma anche la nostra. “Allahu Akbar, morte all’America, morte a Israele, una maledizione sugli ebrei, vittoria all’islam”, è il grido di battaglia degli houthi. A volte, per capire gli equilibri del mondo, per capire la fonte delle minacce, per inquadrare la sorgente del terrore mondiale, bisognerebbe semplicemente ascoltare, aprire gli occhi e prendere sul serio ciò che dicono i nemici dell’occidente. “Il regime della Repubblica islamica non ha portato altro che sofferenza e oppressione per l’Iran e gli iraniani. Il popolo dell’Iran merita libertà e prosperità e la loro insurrezione è legittima e necessaria per ottenere i loro diritti”. Le parole tra virgolette, a proposito di libertà, sono quelle di Badri Hossein Khamenei, la sorella della Guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei. Al tribunale dell’Aia, oggi, dovrebbe esserci l’Iran, non Israele.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.