L'editoriale dell'elefantino
Tenebre da Davos: l'Europa, il peso della Storia e il futuro della Nato
Il liberismo del presidente argentino Milei, gli allarmi baltici, quelli sull’IA e la rielezione di Trump all’orizzonte. Il piano è più che mai inclinato
Il Diciannovesimo secolo si ripresenta a Davos, sorpresa, con il manifesto di Javier Milei, che appoggia le sue idee libertarie sull’esperienza liberale di due secoli fa in Argentina e le usa contro la deriva populista-totalitaria, e antindividualistica, del Novecento. In contemporanea Sam Altman, guru dell’intelligenza artificiale, mette in guardia per il secolo in corso, il XXI, perché qualcosa può andare storto con questa tecnologia delle tecnologie, che ha in sé un ipotetico contenuto violento e transumano. E quando qualcosa può andare storto, ecco, si è già su un piano inclinato. Ma subito si torna all’Ottocento con polacchi e baltici a denunciare l’espansionismo di un discendente postsovietico e post-neo-imperiale di Pietro il Grande, il minaccioso Vladimir Putin: i confini della libertà e indipendenza polacca furono vitali e incertissimi già ai tempi di Chopin, e l’insicurezza generata oggi dai piani anti Nato attribuiti all’autocrate russo si ripercuote di nuovo, più o meno nelle stesse forme, sull’Europa intera delle nazioni e del sovranazionale, con l’aggiunta della febbre baltica, dove si aspettano con tremore e terrore iniziative aggressive preannunciate da proclami che ricordano quelli prefiguranti l’aggressione alla Crimea e poi al Donbas in Ucraina. Fare un solo boccone di quelle piccole repubbliche, se la Nato si distraesse anche solo un momento, sarebbe un progetto quasi realista.
L’Europa mercantile è nata per sgravarsi di un sovraccarico di storia, o Storia con la sgraziata maiuscola, ma si vede che non è impresa facile, e che quella pace o equilibrio conquistati sull’asse franco-tedesco deve vedersela con la pressione del colosso ferrigno, blindato, plumbeo, il paese dell’acciaio temprato e dei carri armati in quantità strabordante, e della carne da macello intesa come Gulag combattente degli ex detenuti e dei deportati coscritti dall’armata di invasione che viene dall’Eurasia. Tutti conoscono la filastrocca della storia che si ripete sempre due volte, la seconda come farsa, ma non sembra questo essere il caso. Al centro del moto di liberazione del 1989, secondo la lezione di Kundera e Havel, c’era la ricomparsa di un continente sepolto dall’Ottobre leninista e stalinista, l’Europa centrale, dal Baltico al Mar d’Azov, con la sua antropologia, la sua letteratura, i suoi maggiori segni identificativi.
Ora si valutano, e ci si impegna con spese militari di Difesa che arrivano al 5 per cento del pil a Varsavia, cose molto concrete, l’ipotesi di un nuovo tentativo di affondamento dell’indipendenza della Mitteleuropa, considerata a Mosca un mito da soggiogare in nome della restaurazione serissima, a colpi di cannone e a furia di bombardamenti e marce forzate tipici di due secoli fa, del vecchio potere d’oppressione che ha fatto le sue prove generali da Kyiv a Odessa, da Leopoli a Dnipro.
Alla luce di questa reviviscenza dell’elemento più tenebroso del passato storico europeo si capisce il senso dell’alleanza che portò alla guida angloamericana e Nato del containment nel corso della Guerra fredda. La prospettiva, con Trump, di un indebolimento fatale dell’alleanza atlantica, e della sua ala protettrice che si stende sull’Europa liberata prima dal ’45 e poi dall’89 del secolo scorso, va valutata dunque considerando non una astratta geopolitica, come si dice oggi con termine fin troppo asettico, ma la concretissima e sperimentata geostoria del continente e del mondo delle democrazie liberali, qualunque cosa si pensi del loro presente e del loro futuro, tra appelli davosiani alla restaurazione dell’individualismo proprietario e del liberismo antistatalista e allarmi sull’IA dalla cattedra dei suoi promotori e ideatori.