Jean-Luc Melenchon - foto Ansa

Estremismi

La violenza nella Francia radicalizzata e la sua strumentalizzazione da parte di Jean-Luc Mélenchon

Alberto De Filippis

Il leader della France insoumise si è spostato dalle storiche posizioni progressiste e cerca il voto delle minoranze. Cosi l’accusa a Israele di essere un paese genocidario e il sostegno ad Hamas diventano temi di strategia elettorale

Parigi. Possono l’accusa a Israele di essere un paese genocidario e il sostegno ad Hamas diventare non temi di campagna, ma una strategia elettorale? In Francia oggi è purtroppo possibile grazie soprattutto a un uomo: Jean-Luc Mélenchon. Il leader non più in Parlamento della France insoumise (Lfi), partito di estrema sinistra nato da una costola del boccheggiante Partito socialista, si è spostato da storiche posizioni progressiste come il sostegno alla laicità o la critica al velo islamico verso una sempre maggiore ricerca del voto comunitario. Mélenchon, che si è già presentato tre volte alle elezioni presidenziali francesi, alle ultime consultazioni è finito terzo con quasi il 22 per cento dei consensi dietro a Emmanuel Macron e alla sempiterna Marine le Pen. Attentissimo alle nuove tecnologie, è stato il primo candidato a usare un ologramma di sé stesso a tenere un comizio contemporaneamente in luoghi differenti. Comprendendo il valore del voto dei giovanissimi è arrivato a fare campagna su un forum di videogiochi che in Francia ha centinaia di migliaia di iscritti. Eppure alle ultime elezioni non è arrivato al ballottaggio e anche alle ultime elezioni europee il suo partito non ha ottenuto grandi risultati, il 6,31 per cento. Questo lo ha portato a cercare il voto detto comunitario, ovvero delle minoranze.

 

 

La stupefacente giravolta del tribuno Mélenchon è stata persino ammessa da suoi fedelissimi come Eric Coquerel, deputato Lfi, ma anche potente presidente della commissione Finanze all’Assemblea nazionale, che nel 2017 aveva affermato: “Per arrivare al ballottaggio ci sono mancati 400 mila voti, dovremo andarli a trovare nei quartieri popolari”. In realtà a Mélenchon di voti ne erano mancati quasi 600 mila, ma la sostanza non cambia.
 

La traiettoria politica di Mélenchon è stata raccontata in un pamphlet intitolato “La République c’était lui” (Lui era la Repubblica), parafrasi di un celebre momento in cui, durante una perquisizione della polizia alla sede di Lfi, Mélenchon si era rivolto minaccioso a un poliziotto affermando: “Io sono la Repubblica”. L’autore, lo scrittore Eric Naulleau, ha messo in fila gli eventi che dimostrano il radicale cambiamento di Mélenchon che ha anche basi ideologiche, esplicitate da un think tank molto ascoltato a sinistra, Terra Nova. L’istituto aveva teorizzato che ormai il popolo, e più specialmente il proletariato e la piccola borghesia, votano “male”, ovvero si sono spostati a destra, sostenendo formazioni come quella di Marine Le Pen. Sostanzialmente dunque sono persi alla causa. Il voto della sinistra va quindi cercato nelle minoranze: fra i francesi di origine immigrata e di seconda generazione, fra le minoranze sessuali, fra i giovanissimi e nei quartieri più popolari. È questa la Francia di domani secondo Terra Nova.

 

 

Mélenchon ha preso alla lettera queste indicazioni sotterrando le convinzioni pregresse e non passa ormai giorno che Lfi non lanci provocazioni che indignano l’intero arco costituzionale, ma che, secondo alcuni analisti, hanno un solo obiettivo: arrivare al ballottaggio delle presidenziali 2027, quasi certamente contro Marine Le Pen, perderle, e scatenare il caos per mettere a soqquadro il paese contro il governo “fascista”. Fantascienza? A guardare quello che accade oggi in Francia non sembra proprio.
 

In un paese che da anni registra oltre cento aggressioni quotidiane all’arma bianca, dove da settimane non passa giorno senza che si verifichino atti di estrema violenza che vedono responsabili soprattutto giovani membri delle comunità musulmane, dove minoranze islamizzate controllano interi quartieri di piccole e grandi città e dove il comunitarismo non fa che esasperare le relazioni, Mélenchon ci sguazza. I suoi deputati hanno rifiutato di definire Hamas un gruppo terrorista o di condannare il pogrom del 7 ottobre in Israele, senza dimenticare che fra i candidati alle europee degli insoumises fa bella mostra di sé Rima Hassan, brillante franco-palestinese con il piccolo difetto di considerare Hamas un’associazione partigiana e legittimi i suoi atti.

 

 

Oggi Lfi soffia sul separatismo comunitario e sulla giustificazione dell’islamismo radicale, convinta, in fondo, di poterlo usare come una specie di autobus per arrivare al potere e poi magari distaccarsene. Mélenchon giura che nel 2027 non si ricandiderà alle presidenziali, ma in Francia non gli crede nessuno e intanto continua a sostenere l’idea secondo cui i musulmani tout court sono i dannati della terra. Paradossalmente però sono proprio i musulmani moderati le prime vittime di questo giustificazionismo. Ma di loro al tribuno interessa poco.