Editoriali
La guerra economica non si fa a parole. La mossa di Putin contro Ariston
La nazionalizzazione della controllata russa del gruppo italiano è un atto di guerra economica. Serve un impegno in più da parte di tutti
Non vi è dubbio che la decisione di Putin di “trasferire sotto la gestione temporanea” di Gazprom il 100 per cento del controllo di Ariston Thermo Rus Llc, controllata russa del gruppo italiano Ariston, una nazionalizzazione, sia un atto di guerra economica. La stessa sorte è toccata a una azienda del gruppo tedesco Bosch e non è la prima mossa di questo tipo da parte di Mosca, lo scorso anno era toccato alla francese Danone e alla danese Carlsberg, settore food. Il governo italiano ha deciso di rispondere con fermezza, per via diplomatica e con iniziative politiche. L’ambasciatore russo è stato convocato ma, com’era prevedibile, Roma si è sentita rimpallare le “pericolose avventure geopolitiche anti russe”.
La differenza tra gli atti di un paese aggressore e le risposte di stati democratici non necessita di essere chiarita. Ma resta non aggirabile il dato di fatto che in una guerra economica non è possibile contestare sul piano formale le mosse del nemico. L’Italia ha costretto la russa Lukoil a cedere la raffineria di Priolo sotto la minaccia di una nazionalizzazione (stessa cosa in Germania con Rosneft), e fece bene.
La filiale di Ariston è in Russia da vent’anni e ha fatturato nel 2023 quasi 100 milioni. Ha dunque una sua logica che Paolo Merloni, presidente di Ariston Group, sostenga la decisione di “mantenere i nostri asset lì”, così come altre aziende hanno fatto. Oggi il Financial Times spiegava che le banche occidentali nel 2023 hanno versato 800 milioni di euro in tasse al Cremlino: le zone grigie, anche nelle guerre economiche, sono difficili da delimitare. Il ministro degli Esteri Tajani ha chiesto a Bruxelles provvedimenti per tutelare le imprese italiane. Iniziativa lodevole, ma non è chiaro come si possa fare. Forse è più utile ricordare che quella in corso per difendere l’Europa da Putin è una guerra, ricordando alle aziende che operano in Russia che la sorte dei loro asset e del loro business dipende dalle bizze dello zar. Il mondo è cambiato, fare affari a Mosca non è conveniente come prima e alimenta la macchina da guerra di Putin.
I conservatori inglesi