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Il messaggio del regista iraniano Rasoulof a Cannes: "Non abbiate paura della censura in Iran"

Priscilla Ruggiero

Al film sulle proteste studentesche a Teheran, "Il seme del fico sacro", è stato assegnato il Premio speciale della giuria. La condanna a otto anni di carcere e fustigazione durante le riprese, la fuga in Europa e la dedica sul palco francese agli artisti dissidenti iraniani, tra cui Toomaj Salehi

Dodici minuti di applausi. Il Premio speciale della giuria di Cannes è stato assegnato al film "Il seme del fico sacro" di Mohammad Rasoulof per aver "attirato l'attenzione sull'ingiustizia insostenibile" in Iran con "una storia coraggiosa ambientata nell'Iran moderno che affronta il conflitto tra tradizione e progresso, rappresentato in modo molto potente e fantasioso". Rasoulof soltanto una settimana fa aveva annunciato la  fuga dal paese dopo l'ultima condanna a otto anni  di carcere e fustigazione per i suoi film.

 

 

L'idea del film è nata nel 2022, ha raccontato Rasoulof, quando è stato incarcerato insieme all'amico e regista Jafar Panahi per aver firmato una petizione che invitava le forze di sicurezza iraniane a usare moderazione durante le proteste pubbliche. "Il seme del fico sacro" racconta le proteste studentesche nella capitale Teheran, i giovani nelle strade che protestano contro lo hijab e urlano "abbasso alla teocrazia": è stato girato di nascosto, da un gruppo ristretto di persone che ha  rischiato di sospendere più volte le riprese, e per questo motivo molte delle scene sono state girate con il telefono. "A volte la gente diceva: 'C'è qualcuno fuori in agguato', e ci disperdevamo tutti", ha raccontato una delle attrici del film, Mahsa Rostami, in conferenza stampa.  

 

 

"Sapevo che la realizzazione di questo film avrebbe comportato ulteriori accuse contro di me. Mi sono detto: 'Non devo più pensarci, devo chiudere questa porta nella mia mente', e così ho fatto. Contavo sulla lentezza dell’amministrazione legale per riuscire a finire le riprese del film”, ha raccontato il regista. Ma poi la sentenza è arrivata, e Rasoulof si è trovato a decidere, in due ore, se restare e affrontare otto anni in prigione o fare i bagagli e abbandonare il cast, la famiglia e gli amici. Ha affrontato un viaggio lungo e pericoloso, e da un rifugio in montagna, dopo aver varcato il confine iraniano, ha annunciato: “Da oggi risiedo nell’Iran culturale”. 

Così è arrivato a Cannes, e alla consegna del premio – l'ultimo premio al Festival di Berlino non ha potuto ritirarlo personalmente per un divieto di uscire dal paese – ha detto: "Sono molto felice per questo premio e, allo stesso tempo, il mio cuore è con il popolo iraniano che si sveglia ogni giorno, ogni ora e ogni mattina davanti a un disastro". Ha dedicato il palco agli artisti e scrittori dissidenti che soffrono sotto il dominio di un “regime tirannico e oppressivo”. “Mentre vi parlo in questo momento, molte persone, giornalisti, professori universitari, artisti sono in prigione nella Repubblica islamica. E devo parlare a loro nome. Nello specifico vorrei parlare di Toomaj Salehi. Un cantante che a causa della sua arte è stato condannato a morte. Non lasciare che la Repubblica islamica faccia questo al suo popolo”.

 

 

 

"Ci sono persone libere con grande dignità che vogliono fare film a tutti i costi", ha detto Rasoulof. “Il mio unico messaggio al cinema iraniano è: non abbiate paura delle intimidazioni e della censura in Iran. Sono totalmente incapaci di regnare, non hanno altra arma che il terrore”.