editoriali
I video degli ostaggi che Israele è costretto a mostrare
Il rapimento di tre israeliani, la pressione interna e quella che manca su Hamas
La mattina del 7 ottobre, Hersh Goldberg-Polin, Or Levy ed Elia Cohen sono stati rapiti dai terroristi di Hamas. Erano a Re’im, appena hanno iniziato a suonare le sirene e ad arrivare i primi razzi dalla Striscia di Gaza, sono corsi nel rifugio soprannominato il “rifugio della morte”: più volte i terroristi hanno lanciato granate al suo interno, un amico di Hersh è riuscito per sette volte a rilanciarle verso i terroristi, è morto all’ottava. Un’altra granata è esplosa vicino a Hersh, maciullandogli la mano e mentre perdeva sangue è stato caricato sullo stesso pick up assieme a Or e Elia. Oggi le famiglie dei tre ostaggi hanno scelto di pubblicare un video per mostrare il rapimento.
Si vedono i terroristi agitare i fucili AK-47, gridando “Allahu akbar” e colpendo i tre che tremanti vengono portati verso Gaza. Hersh è comparso in un video pubblicato da Hamas a fine aprile, mentre di Or ed Elia non sono arrivate immagini dalla prigionia che dura da più di duecentosessanta giorni. Le famiglie hanno scelto di pubblicare il video per fare pressione sul governo, vogliono testimoniare lo stato di abbandono in cui si trovano gli ostaggi, altre famiglie hanno preso la stessa decisione e hanno chiesto a maggio di mostrare al mondo le immagini delle ragazze rapite dalla base di Nir Oz. L’effetto è stato importante: ne è uscita una proposta di accordo propensa ad accettare quasi tutte le richieste di Hamas. Nonostante questo, è stato Hamas a rifiutare.
Questi video hanno un grande impatto interno, mobilitano le manifestazioni di chi chiede il rilascio degli ostaggi, rendono la politica più propensa a ogni soluzione negoziale. Mesi fa sarebbe stato impensabile per le famiglie degli ostaggi mostrare le immagini dei loro cari impauriti, picchiati, insanguinati, la protezione del dolore è una concezione sacra e difficile da abbattere. Se hanno preso questa decisione è per la paura, perché sono pronti a tutto pur di vedere i loro cari tornare vivi e più passa il tempo, più le possibilità diminuiscono. Chi continua a dire “no” è Hamas, è sul gruppo che va fatta pressione per far finire la guerra.