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Le nomine

Oggi il Consiglio europeo, ma la partita sui "Top Jobs" si è già chiusa il 9 giugno

David Carretta

I risultati delle elezioni europee non hanno dato spazio ad altre trattative e von der Leyen, Costa e Kallas saranno confermati dal vertice Ue di oggi. Meloni aspetta per poter iniziare a negoziare la nomina del commissario italiano

Bruxelles. I capi di stato e di governo dell’Ue sono determinati a nominare i leader delle istituzioni comunitarie per i prossimi cinque anni, anche a costo di ricorrere al voto a maggioranza qualificata nel vertice che si apre oggi a Bruxelles, se Viktor Orbán o Giorgia Meloni decideranno di votare contro o astenersi, perché esclusi dalle trattative. Il trio scelto da popolari, socialisti e liberali è sempre lo stesso: Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, António Costa al Consiglio europeo e Kaja Kallas come Alto rappresentante.
 


Il Consiglio europeo di oggi e domani è diventato una formalità sui cosiddetti “Top Jobs” dopo che i negoziatori della maggioranza europeista – Partito popolare europeo, Partito socialista europeo e liberali di Renew – hanno trovato un accordo sui tre nomi che rispettano tutte le condizioni poste dagli equilibri politici, geografici e di genere. Von der Leyen viene da un grande paese, la Germania, ed era la Spitzenkandidat per un secondo mandato alla Commissione del Ppe, che è uscito rafforzato dalle elezioni europee. Costa viene da un paese medio piccolo del sud, il Portogallo, ed è uno dei più rispettati ex premier socialisti. Kallas è la premier di un piccolo paese che sta tra il nord e l’est, l’Estonia, è liberale e ha una posizione molto netta sulla Russia, sfida esistenziale per l’Ue e almeno tre quarti dei suoi stati membri. L’intesa era già stata raggiunta alla cena informale dei capi di stato e di governo di lunedì 17 giugno. Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, Olaf Scholz e Pedro Sánchez per il Pse, Emmanuel Macron e Mark Rutte per Renew l’hanno confermata in teleconferenza martedì mattina.
 

In realtà, la partita sulle nomine europee si è chiusa la sera del 9 giugno. La maggioranza europeista non solo ha retto, ma rimane l’unica possibile, salvo provocare un’implosione del Ppe, perché almeno metà del gruppo non intende allearsi con gli altri gruppi della destra sovranista o dell’estrema destra. Macron è uscito talmente indebolito dalle elezioni europee da non potersi permettere di far saltare il tavolo e proporre un’alternativa a von der Leyen. Il Ppe ha cercato di alzare la posta con gli altri due partner, rivendicando il posto di presidente del Consiglio europeo per la seconda metà della legislatura. Ma ha fatto subito marcia indietro quando ha capito che Pse e Renew non avrebbero accettato. La conferma di Costa tra due anni e mezzo sarà decisa dal Consiglio europeo in quel momento.
 

“Non c’è nessuna volontà di isolare Meloni”, spiega al Foglio un diplomatico europeo. “Meloni si è isolata quando ha flirtato con Marine Le Pen e ha deciso di incontrare Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki”, aggiunge il diplomatico. Le argomentazioni usate ieri dal presidente del Consiglio vengono rigettate a Bruxelles. Non è vero che il terzo gruppo al Parlamento europeo abbia diritto a uno dei “Top Jobs” perché le istituzioni sono indipendenti: nel 2009 e nel 2014, Ppe e Pse esclusero i liberali dagli incarichi. L’Ue deve rimettersi rapidamente al lavoro, perché c’è la guerra della Russia in Ucraina, la minaccia economica della Cina e il pericolo di Donald Trump alla Casa Bianca. Le elezioni legislative in Francia di domenica, con la prospettiva di un governo di estrema destra o di un’Assemblea nazionale senza maggioranza, sono un altro fattore destabilizzante che consiglia di accelerare e assicurare all’Ue una maggioranza europeista stabile.
 

Rimangono alcuni elementi di incertezza sul successo dei “Top Jobs”. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, potrebbe cercare di rinviare la decisione nella speranza di far saltare la sua storica nemica von der Leyen. Ma la vera incognita è il voto di conferma di von der Leyen al Parlamento europeo, previsto il 18 luglio a Strasburgo. Secondo una fonte, la squadra von der Leyen calcola che mancano almeno una cinquantina di voti per evitare il rischio dei franchi tiratori e assicurarsi i 361 voti su 720 necessari. È la ragione per cui al Consiglio europeo si vuole evitare di aprire una trattativa sui vicepresidenti esecutivi della Commissione, che potrebbero compensare l’Italia. I vicepresidenti esecutivi rappresentano i partiti che fanno parte della maggioranza. Assicurarne pubblicamente uno a Meloni ora potrebbe provocare il fuoco amico di socialisti e liberali contro von der Leyen, compromettendone l’elezione in Parlamento. “È un campo minato”, ammette un funzionario. A Von der Leyen è stato chiesto di negoziare direttamente con Meloni sul commissario italiano, possibilmente dopo il 19 luglio, quando si sarà assicurata la fiducia.