I trent'anni di impunità per l'attentato al centro della comunità ebraica argentina
L'attacco contro l’Associazione mutualistica israelitica (Amia) di Buenos Aires, il 18 luglio 1994, uccise 85 persone e ne ferì oltre 300: è l'attentato più grave nella storia del paese. Trent'anni dopo, le famiglie chiedono ancora giustizia, mentre ad aprile un tribunale argentino ha attribuito le responsabilità all'Iran
Sono trascorsi trent’anni dall’attentato più grave nella storia dell’Argentina, quando lo schianto di un furgone carico di esplosivo contro l’Associazione mutualistica israelitica argentina (Amia) a Buenos Aires uccise 85 persone e ne ferì oltre 300, il 18 luglio 1994. Dopo trent’anni, le famiglie delle vittime ancora lottano per ottenere giustizia, vogliono che i responsabili paghino per l’attentato di quel giorno. Soltanto ad aprile di quest’anno la Camera federale di cassazione penale argentina ha attribuito l’attacco all’Iran, affermando che era stato compiuto da militanti di Hezbollah in risposta a "un disegno politico e strategico" dell'Iran. Il tribunale ha definito l’accaduto “un crimine contro l’umanità”, criticando “i tentativi di insabbiamento” e assicurando che si tratta di reati imprescrittibili i cui responsabili ancora oggi possono essere perseguiti in ogni parte del mondo.
Due anni prima dell’attentato all’Amia, il 17 marzo 1992 un altro attacco aveva colpito l’ambasciata israeliana a Buenos Aires, provocando 29 morti, più l’attentatore suicida, e 242 feriti. I due eventi erano collegati tra di loro, ma il secondo restò più nella memoria non soltanto perché fece il triplo delle vittime, ma perché vi erano stati colpiti ebrei argentini, e non lo stato di Israele. Nonostante nel 2006 i tribunali argentini abbiano accusato otto funzionari iraniani e un cittadino libanese di coinvolgimento nell'attacco, i responsabili sono rimasti impuniti. Il governo argentino ottenne dall'Interpol mandati di arresto internazionali contro gli otto uomini ma Teheran negò le accuse e si rifiutò di estradare i sospettati per affrontare il processo in Argentina.
Ora l'attentato – che nel 2006 è è stato definito crimine contro l'umanità e quindi non soggetto a prescrizione – è in cima all'agenda del governo, dice il presidente Milei, che sin dall'inizio del suo mandato ha indicato Israele come punto di riferimento cruciale nella svolta a "occidente" della politica estera argentina. Ieri, durante una conferenza sulla sicurezza organizzata dal World Jewish Congress, Milei ha promesso di accelerare i processi relativi al caso Amia, con misure "che nessun altro governo ha mai avuto il coraggio di adottare”. "Oggi abbiamo scelto di parlare, non di restare in silenzio. Stiamo alzando la voce, non incrociando le braccia. Scegliamo la vita, perché qualsiasi altra cosa è trasformare la morte in un gioco. "ebbene non potranno mai scontare la pena, non potranno sfuggire alla condanna eterna di un tribunale che dimostri la loro colpevolezza di fronte al mondo intero”, ha detto il presidente dell'Argentina prima delle celebrazioni per il trentesimo anniversario.
Oggi invece, a trent'anni dall'attentato, il centro culturale ebraico ha inaugurato una nuova facciata colorata del palazzo, dove si è svolta una manifestazione indetta dai familiari delle vittime, il cui titolo è: "Il terrorismo continua, anche l’impunità".