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STATI UNITI

Joe Biden ritira la sua candidatura. Come siamo arrivati al passo indietro

Giulio Silvano

Il presidente americano doveva essere la diga che bloccava i ProudBoys e i vichinghi del 6 gennaio, l'unico argine a Trump. Ma poi lo hanno scaricato tutti. E ora la sua rinuncia è ufficiale

Joe Biden si è ritirato dalla corsa per le presidenziali americane. Uno scenario che sembrava impossibile fino a poche settimane fa. “Joe Biden è il nostro candidato, l’unico che può battere Donald J Trump, l’unico che può salvare la democrazia americana dal populismo Maga, l’unico che può salvare l’Ucraina dall’isolazionismo filoputiniano dell’AltRight”. L'hanno ripetuto in coro i democratici, la vecchia guardia, l’elettorato, i commentatori progressisti, i conservatori never-Trump, gli alleati, i donatori, la sinistra della Squad e i moderati centristi per mesi, anni. C’era giusto qualche piccola eccezione che sembrava una voce fuori dal coro per creare zizzania.

 

Quando Dean Philipps ha provato a sfidare Biden alle primarie democratiche, primarie considerate inutili da tutti, gli altri lo attaccavano perché voleva “fratturare il partito”. Tutta la coalizione non aveva dubbi: Joe Biden era una certezza, era la barriera facile e sicura contro la paura di altri quattro anno di impeachment e scandali, di complottisti nello Studio Ovale e suprematisti bianchi in Campidoglio. Joe Biden doveva essere la diga che bloccava i ProudBoys e i vichinghi del 6 gennaio che volevano arrestare la speaker Nancy Pelosi e impiccare il vicepresidente Mike Pence. 

 

Poi è arrivato il dibattito. Quando il 27 giugno il presidente è salito sul palco di Atlanta, con le modalità che voleva lui – niente pubblico, microfoni spenti quando parla l’avversario – è caduto un velo, una certezza. Balbettii, frasi sconclusionate, errori, gaffe, un tono di voce “poco presidenziale”. Gli stessi repubblicani non potevano crederci, dato che a Fox News avevano già dato Biden per vittorioso al dibattito, ammiccando al fatto che si drogasse prima di salire sul palco. Lo stesso Trump sembrava sorpreso dalla debolezza verbale dell’avversario. Fino ad allora i video dove “il vecchio Joe” inciampava sulle scale per salire sull’Air Force One, o salutava persone morte tra la folla, o le clip virali di “sleepy Joe” che si addormenta e che vaga senza meta al G7, venivano bollati dai dem come propaganda della destra. Dopo Atlanta invece ci si è accorti che forse dovevano essere presi più in considerazione. Dopo Atlanta è iniziata una nuova fase della campagna elettorale  – campagna che doveva essere la più noiosa di sempre, un copia incolla del 2020 – una fase che è stata una sveglia. A fine giugno è arrivata l’ansia, il partito è entrato in uno stato di allarme. “Panic”, ha titolato la rivista Time, con un Biden che vaga nel nulla. Inizialmente la Casa Bianca ha cercato di giustificare il presidente ottantunenne: “aveva mal di gola”, “era in jet lag dopo il G7”. E anche la maggioranza di politici e giornalisti per un po’ sono stati al gioco: “guardate quante bugie ha detto Trump in 90 minuti invece di guardare la senilità di Biden”. Ma dopo quel giorno nei corridoi di Capitol Hill i vertici del partito hanno iniziato a studiare seriamente una exit strategy. 

L’elettorato si è sentito preso in giro: “Ci avete nascosto che Biden era messo così male?”. Per un periodo c’era anche chi, come lo stratega Jeffrey Katzenberg, aveva cercato di spingere la narrazione del “vecchio è bello”, mettendo i RayBan a Biden per renderlo un nonno cool. Ma ormai il velo era caduto. E a poco è bastato il suo comizio due giorni dopo dove appariva più energico, a poco sono bastati gli appelli della moglie Jill, che secondo gli insider è quella che più a spinto per far candidare il marito in primo luogo. “Io sono il candidato. Punto”, ha continuato a dire Biden fino a pochi giorni fa.

Piano piano l’argine intorno al Potus è crollato. George Clooney è stato il volto noto che ha aiutato gli altri a liberarsi dal groppo in gola. Clooney è stata la voce più famosa a dire quello che molti politici vedevano come un tradimento, ma di cui erano convinti: “Biden ti voglio bene, ma devi mollare”. Clooney ha scritto un editoriale sul New York Times, giornale che da settimane chiede esplicitamente il ritiro del presidente, tanto da esser stato criticato apertamente dai fedeli bideniani come il senatore John Fetterman. Il Times ha pubblicato sondaggi che mostrano che un “qualsiasi candidato più giovane” avrebbe più chance contro The Donald. Non una persona precisa, chiunque. 

 

Oltre al NYT altri commentatori hanno iniziato a spiegare perché Biden dovrebbe mollare. “I dem devono trovare un nuovo candidato se vogliono evitare la catastrofe. È una scelta difficile, ma va fatta”, ha detto Jonathan Haidt del New York Magazine al Foglio. “Non è ancora troppo tardi per un nuovo candidato”, ci ha detto Ben Smith. Molti, come lo stesso Obama, dicono che mollare è il modo migliore per proteggere la propria legacy. Anche il saggista Paul Berman, dice chiaramente al Foglio: “Biden dovrebbe andarsene. E’ stato il più grande presidente della storia moderna americana. E può ancora comportarsi da grande presidente. Non c’è niente che non vada nel suo giudizio da leader, non c’è davvero niente che non vada. Ma non riuscirà a mostrare il pericolo posto da Donald Trump. E quindi potrebbe perdere. E’ una cosa esasperante. Tragica”. 

I donatori stavano già iniziando a  usare il portafogli come minaccia: “Biden, o lasci o non ti diamo i soldi”. L’erede della Disney, storica donatrice dem, ha detto: “Ho intenzione di bloccare ogni contributo al partito fino a che Biden non verrà rimpiazzato nel ticket presidenziale. E’ una questione di realismo, non di mancanza di rispetto. Biden è una brava persona e ha servito egregiamente questo paese, ma la posta in gioco è troppo alta”. Vari super-Pac hanno congelato casseforti con decine di milioni di dollari in attesa di un sostituto. I miliardari hollywoodiani e della Silicon Valley hanno intimorito candidati senatori e deputati e governatori: “Se lui non molla, non diamo i soldi nemmeno a voi”. 

Questo ha spaventato ancora di più i politici di tutti i livelli che vorrebbero mantenere il posto nel 2025. Panico perché a novembre si vota anche per il Congresso. Così a Capitol Hill si è mosso l’establishment del partito. Trump potrebbe vincere non solo la Casa Bianca, ma prendersi anche la maggioranza a Camera e Senato, che – con la Corte Suprema già dalla sua – lo porterebbe ad avere potere esecutivo, legislativo e giudiziario nel palmo della mano. Come Thanos, il distruttore di mondi, quando raccoglie tutte le pietre colorate negli Avenger e con uno schiocco di dita ha l’universo ai suoi piedi. Questa la paura di Nancy Pelosi, decana di Washington, potentissima dem che ha telefonato a Biden per mettergli fretta: “Deciditi”, gli ha detto. Un collaboratore di Pelosi ha detto alla stampa che “lei non chiederà pubblicamente a Biden di dimettersi, ma farà tutto ciò che è in suo potere per fare in modo che questo accada”. La pressione interna per far ritirare Biden è diventata pubblica dopo settimane di manovre lontano dai riflettori. Non c’è più bisogno di nascondersi. 

A esser spaventato dai sondaggi è stato fin da subito Barack Obama, da sempre il protettore di Biden, il suo BFF, da cui il presidente non si aspettava una coltellata nella schiena. Obama è stato zitto, pubblicamente, per molto tempo. Un silenzio che vale tantissimo, lui che usciva sempre fuori dalle sue vacanze in yacht con Oprah e Tom Hanks per aiutare Joe nel momento del bisogno, come un Superman della comunicazione dem, un rassicuratore del popolo progressista. E invece Obama avrebbe tramato, dietro le quinte, preoccupatissimo per i numeri che danno Trump in vantaggio negli stati chiave. Anche i due dem più importanti del Campidoglio, il leader dei senatori Chuck Schumer e il leader dei deputati Hakeem Jeffries, hanno discusso con il presidente chiedendogli di farsi da parte. Altri dem di rilievo hanno deciso di parlare pubblicamente. Il deputato Adam Schiff a novembre vorrebbe diventare senatore e se fino a ieri è stato il supporter numero uno di Biden, qualche giorno fa ha detto al Los Angeles Times: “Biden è stato un presidente fantastico, ma siccome una seconda presidenza Trump minerebbe le fondamenta della nostra democrazia, ho dei seri dubbi sul fatto che il presidente possa sconfiggere Trump a novembre. È arrivato il momento di passare il testimone”. 

Così ora che i pilastri su cui si basa un candidato vincente – i donatori, i vertici del partito, i Vip, la stampa e l’elettorato – hanno detto quello che tutti avevano paura di dire, ora che i giochi si fanno all’aperto, la palla è nel campo di Biden. “Ritirati, c’è ancora tempo per un nuovo candidato”, gli dicono. E si sono iniziate a fare le liste, spesso goffe e inappropriate, di possibili sostituti, da Gavin Newsom a Gretchen Whitmer.