editoriali
Gas, le chiacchiere stanno azero
L’Azerbaijan contro l’Ue, che vuole le forniture ma senza impegnarsi
Amici amici, amici un tubo. L’ambasciatore dell’Azerbaijan presso l’Unione europea, Vaqif Sadiqov, ha detto ieri al Financial Times che Bruxelles non può pretendere che Baku aumenti le forniture di gas per aiutare l’Ue a emanciparsi dalla Russia, senza impegnarsi a ritirare i volumi aggiuntivi per un periodo di tempo sufficiente a ripagare l’investimento. Nel 2022, l’Europa ha chiesto al paese caspico di far crescere l’export di metano dagli attuali 11,8 a 20 miliardi di metri cubi annui entro il 2027. Ma, nonostante le “intense discussioni” intercorse, nessuno firma contratti di lungo termine per timore di rimanere senza acquirenti. Per tagliare del 90 per cento le emissioni europee entro il 2040, come si è impegnata a fare la presidente della Commissione Ursula von der Leyen nel suo discorso programmatico, i consumi di combustibili fossili dovranno calare dell’80 per cento.
I funzionari europei fanno spallucce e dicono che non sta a Bruxelles, ma agli operatori privati firmare i contratti e assumersene il rischio. E gli operatori, stretti tra una domanda declinante e gli obblighi della tassonomia che squalifica gli investimenti nelle infrastrutture e nella produzione di gas, non sono in grado di farsene carico. Neppure la finanza pubblica può sopperire, visto che a livello Ue si è deciso di bloccare qualunque finanziamento ai combustibili fossili, sia attraverso il bilancio europeo sia attraverso la Banca europea degli investimenti (Bei). Potendo, volendo e dovendo acquistare gas soltanto a breve termine, il risultato è che gli europei pagano prezzi più alti, a detrimento della competitività delle imprese e creando un ulteriore incentivo a tagliare i consumi di gas. L’Europa vuole essere prima della classe nella transizione energetica e avere accesso ai combustibili fossili a prezzi di saldo senza prendere impegni di lungo termine, ma ciò non è possibile. Come sanno anche i bambini, di erba voglio non ce n’è neppure nel giardino della Commissione Ue.