Editoriali
Pechino, l'hub degli accordi vuoti e di una diplomazia instabile
La Cina ha ospitato 14 fazioni palestinesi, compresi i rappresentanti di Fatah e Hamas, che hanno firmato una “dichiarazione di riconciliazione”. Poco dopo è arrivato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, che ha lasciato intendere di aspettarsi poco dai colloqui con Pechino
Ieri a Pechino è stata la giornata di Wang Yi, braccio diplomatico del leader Xi Jinping, quello che dovrebbe (ri)costruire la reputazione della Repubblica popolare nelle questioni internazionali. 14 fazioni palestinesi, compresi i rappresentanti di Fatah e Hamas, “con il cruciale sostegno cinese” hanno firmato una “dichiarazione di riconciliazione”.
Wang ha prestato gli uffici, e poi ha partecipato alla sessione conclusiva e ha detto, ecumenico: “Solo se marciate uno a fianco all’altro potrete riuscire nella causa di liberazione nazionale”. I 14 avrebbero deciso di formare un governo comune dopo la guerra, ma secondo diversi osservatori l’implementazione di un accordo simile è a dir poco complicata, perché alla fine sarà sempre il braccio armato di Hamas a decidere: il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha criticato la presenza di Mahmoud Abbas a Pechino, insieme con Abu Marzuq di Hamas, quello che ritiene che i tunnel servano ai guerriglieri, e chissenefrega dei civili palestinesi. Per una sapiente ed esplicativa coincidenza, nelle stesse ore il capo di Hamas Ismail Haniyeh parlava al telefono con il ministro degli Esteri dei talebani in Afghanistan – governo che la Cina, primo paese al mondo a farlo, ha riconosciuto ufficialmente nel febbraio scorso – ringraziandolo per il sostegno. L’accordo per la Palestina sembra un po’ l’annuncio dello scorso anno sulla “pace made in China” tra Iran e Arabia Saudita, che nel frattempo, però, si è tenuta ben stretta il suo rapporto con gli Stati Uniti.
Poco dopo i leader palestinesi a Pechino, è arrivato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, per la prima visita dall’inizio della guerra della Russia: ha lasciato intendere di aspettarsi poco dai colloqui, ma di voler portare alla leadership cinese i motivi per cui il cosiddetto “piano di pace” di Pechino è inaccettabile, perché sovrapponibile a quello russo. Nel frattempo la Cina è diventata l’hub degli accordi vuoti, e simbolo di una diplomazia dell’instabilità che lavora solo per sfidare l’occidente ed esserci, in qualche modo, per mostrare i muscoli (diplomatici) al sud globale.