Editoriali
L'imbroglio di Maduro alle elezioni
L’ultimo conteggio, affidato al Washington Post, mostra il distacco clamoroso con il candidato dell'opposizione Urrutia: avrebbe preso più del doppio dei voti di Maduro. La querelle continua
Lunedì il presidente del Consiglio elettorale nazionale del Venezuela Elvis Amoroso ha infine consegnato i verbali delle elezioni presidenziali al tribunale supremo di Giustizia, dopo che nel fine settimana gli era stato dato un margine di tre giorni per farlo. Sembrerebbe dunque adempiuta la richiesta che era stata formulata non solo da Stati Uniti, Unione europea, Canada e i nove governi latino-americani con cui Maduro ha rotto le relazioni diplomatiche, ma anche da una quantità crescente di leader e personalità di una sinistra latino-americana che in passato gli era stata amica.
Lo avevano richiesto anche i presidenti di Colombia Gustavo Petro, del Messico Andrés Manuel López Obrador, il brasiliano Lula con Gabriel Boric durante la sua visita in Cile di lunedì e ieri si sono esposte anche l’ex presidente argentina Cristina Kirchner e la leader delle Nonne di Plaza de Mayo Estela de Carlotto, che ha aggiunto: “È chiaro che Maduro bara, sarà un dittatore”. Anche l’opposizione ha consegnato i verbali in suo possesso: quelli che erano già stati pubblicati su Internet e anche affissi sulle mura di Caracas durante la manifestazione di sabato, poi affidati all’analisi del Washington Post.
L’analisi ha concluso che Edmundo González Urrutia avrebbe ricevuto più del doppio dei voti di Maduro. Se è vero che i dati dell’opposizione sono copie di quelli ufficiali, e sono solo 24.532 verbali – l’81,7 per cento del totale, contro il 96,87 che sarebbe stato presentato dal Cne – sono però pubblici e attestano un distacco incolmabile, mentre i verbali consegnati da Amoroso continuano a essere segreti. Insomma, la querelle continua. Adesso, comunque, partirà un “processo di perizia del materiale registrato” in un periodo massimo di 15 giorni, che potrà essere prolungato. Saranno convocati anche i candidati alla presidenza, così come i rappresentanti dei partiti politici, per presentare tutti gli “strumenti elettorali” nelle loro mani, nonché per rispondere a un interrogatorio.