Elezioni proibite
Maduro alle strette, ma continua a sporcare di sangue il Venezuela
La strategia repressiva post elettorale si fa sempre più fitta e arriva a colpire i lavoratori che non si piegano al regime, su cui piovono precettazioni e dimissioni obbligatorie. Nel frattempo, sempre più personalità politiche internazionali si distaccano dal presidente venezuelano
Anche la figlia di Allende prende le distanze da Maduro, e si dice anzi offesa per il modo in cui il presidente del Venezuela insiste nel paragonarsi a suo padre. Senatrice socialista, da non confondere con la omonima scrittrice che è invece sua cugina ma che comunque ha anch'essa posizioni critiche nei confronti di Maduro, Isabel Allende ha detto di capire “che lui possa provare ammirazione per Salvador Allende, ma non si può far finta che quello che ha fatto Salvador Allende sia la stessa cosa che sta facendo questo governo, che io considero autoritario e dittatoriale. Non c'è nessuna relazione”. Continua: “Capisco che Salvador Allende ha trasceso le frontiere e c'è verso di lui ammirazione non solo in Cile, ma in molte parti del mondo. Ci sarà dunque sempre gente che vorrà interpretarlo a modo suo, ma non si può toglierne ciò che Salvador Allende ha sempre voluto: democrazia, pluralismo e libertà”. Isabel Allende ha inoltre sottolineato come suo padre avesse scelto una strada ben diversa, a tratti opposta, al modello cubano.
Dopo il presidente cileno Boric, il brasiliano Lula, il colombiano Petro, l'ex-presidente uruguayano Pepe Mujica, quello argentino Alberto Fernández, la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo Estela Barnes de Carlotto, è l'ennesimo nome illustre della sinistra latino-americana che dice no alla truffa elettorale e alla sterzata autoritaria. Non senza ambiguità, se si pensa al modo in cui ad esempio sia Lula che Mujica si trovano così in rotta di collisione con i loro stessi partiti. Il nuovo schieramento di Brasile e Colombia ha comunque permesso all'Organizzazone degli Stati Americani (Osa) sa di condannare infine la frode e la repressione illegale e di chiedere una verifica imparziale dei risultati con un voto di consenso che in un primo tentativo era stato bloccato proprio per l'astensione voluta da Lula e Petro. Una risposta sempre più netta alla sfacciataggine con cui Maduro pretende di proclamare i risultati senza esibire i verbali.
“In quale processo elettorale al mondo si possono aspettare tre settimane per conoscere le prove che garantiscono un risultato? In nessun'altra parte del mondo. Ciò che conferma è che il sistema democratico in Venezuela è crollato”, ha ribadito l'Osa martedì. Anche Onu, Ue e vari governi di tutto il mondo fanno richieste analoghe, e gli Stati Uniti minacciano misure contro i complici dei brogli. Enrique Márquez, uno dei candidati alle ultime elezioni, ha chiesto martedì la ricusazione di Caryslia Beatriz Rodríguez, giudice incaricato del processo di “certificazione” della contestata rielezione di Maduro, denunciando il suo legame con il partito al governo.
Maduro ha risposto a tutto questo aumentando ancora la repressione. Più di un centinaio di dipendenti della società petrolifera di stato Pdvsa hanno denunciato di essere stati costretti a dimettersi per non aver sostenuto il regime. Segnalazioni simili sono arrivate da altri enti pubblici. Anche sabato di fronte alla manifestazione della opposizione in oltre 300 città di tutto il mondo Maduro ha indetto una contromanifestazione precettando i dipendenti pubblici, e anche i Social sono sotto controllo sempre più stretto. Il partito di María Corina Machado ha chiesto il rilascio immediato di Henry Alviarez e Dignora Hernández, due dirigenti detenuti dal regime in modo arbitrario già da cinque mesi.
Anche la ong Provea denuncia che i “modelli repressivi” in Venezuela “producono sempre più vittime”, con detenzioni “senza ordine giudiziario”, che sono state effettuate senza “giusto processo” nella “maggior parte dei casi”. E ieri la giornalista Ana Carolina Guaita, del media digitale indipendente La Patilla, è stata arrestata da presunti funzionari del Servizio d'intelligence nazionale bolivariano (Sebin): a denunciarlo è il Sindacato nazionale dei lavoratori della stampa (Sntp).
L'arresto è avvenuto nella città di Maiquetía, nello Stato di La Guaira, ha riferito il sindacato su X. L'avvocato specializzata in diritti umani, Tamara Suju, ha sottolineato sullo stesso social che la detenzione è avvenuta davanti alla casa della Guaita e che ancora non si sa dove sia stata portata. Dall’inizio delle proteste, il 29 luglio, almeno sei giornalisti sono stati incarcerati e processati con l’accusa di terrorismo e incitamento all’odio.