Editoriali
Undici anni dall'attacco chimico a Ghouta, in Siria. Morirono 1.400 persone e Assad è ancora impunito
Nelle aree rimaste libere dalla dittatura alcune migliaia di persone hanno ricordato il 21 agosto 2013, il giorno nel quale l'esercito siriano lanciò gas sarin per uccidere i civili. L’eccidio fu il simbolo del fallimento occidentale nel paese, della "linea rossa" da non superare predicata dall’allora presidente Obama
La città delle promesse infrante, in Siria, si chiama Ghouta. Oggi, nelle aree rimaste libere dalla dittatura di Bashar el Assad, alcune migliaia di persone hanno ricordato l’undicesimo anniversario del massacro di civili perpetrato dal regime. Il 21 agosto del 2013, l’esercito siriano lanciò gas sarin per uccidere oltre 1.400 persone. In tutti questi anni, non solo Assad è rimasto impunito per il crimine commesso – sebbene accertato dagli investigatori delle Nazioni Unite – ma ha continuato a schiacciare la popolazione inerme usando armi chimiche. L’ultima volta è successo nel 2018, nel sobborgo di Douma, vicino a Damasco. L’eccidio di Ghouta fu il simbolo del fallimento occidentale in Siria, della “linea rossa” da non superare predicata dall’allora presidente americano Barack Obama. Appelli rimasti inascoltati e diventati il simbolo dell’ignavia obamiana in medio oriente.
Soprattutto, Ghouta permise ai russi di legittimare la loro presenza militare in Siria e di imporre il peso politico del Cremlino nel decidere del futuro del paese. Con il placet degli Stati Uniti, Vladimir Putin si arrogò il compito di supervisionare lo smantellamento dell’arsenale chimico di Assad – compito disatteso, ovviamente – per dimostrare che laddove l’occidente tracciava linee rosse, Mosca era pronta a calpestarle, occupando quegli spazi. In tutti questi anni, in ambito Onu, la Russia ha posto il veto ben 16 volte per bloccare indagini e procedimenti tesi a fermare l’uso di armi chimiche in Siria.
Così, con l’aiuto russo, Assad ha ucciso ancora nella più completa impunità, ha rioccupato ampie zone del paese e, soprattutto, è tornato a presentarsi agli occhi del mondo come leader sanguinario, forse, ma imprescindibile per immaginare il futuro della Siria. Uno smacco per la diplomazia occidentale, una vittoria per la Russia, che non ha conquistato solamente un amico in più in medio oriente, ma anche il suo unico sbocco sul Mar Mediterraneo, gestendo il porto siriano di Tartus. I sopravvissuti dell’attacco, invece, continuano a chiedere giustizia, inascoltati.