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Editoriali

Maduro conta sull'impunità (pure lui)

Redazione

Serve qualche pressione in più sul regime venezuelano sconfitto al voto

Il giorno dopo l’arrivo di Edmundo González Urrutia a Madrid il procuratore generale del regime venezuelano, Tarek William Saab, ha annunciato in un’intervista alla Cnn che il caso contro quello che, secondo i verbali raccolti dall’opposizione e non presentati dal governo, è il presidente eletto del Venezuela dopo il voto del 28 luglio “sarà chiuso giudizialmente dopo la sua partenza dal paese”. Queste parole confermano l’impressione, chiamiamola così, che l’ordine di arresto di González Urrutia sia stato impartito non perché c’erano sospetti di reato, ma come misura persecutoria per toglierlo di mezzo.

“La mia partenza da Caracas è stata costellata di episodi di pressioni, coercizioni e minacce. Sono fiducioso che presto continueremo la lotta per raggiungere la libertà e il recupero della democrazia in Venezuela”, è stata la prima dichiarazione del leader dalla Spagna.

Arrivano anche alcune notizie secondo cui sarebbero stati sgomberati i gruppi paramilitari di chavisti armati e incappucciati che contribuivano nel modo più chiassoso all’assedio della ambasciata argentina a Caracas, che era stata abbandonata il 31 luglio dai diplomatici dopo la rottura delle relazioni per il non riconoscimento della vittoria di Nicolas Maduro da parte del presidente Javier Milei. Ma dentro alla sede diplomatica ci sono ancora sei dirigenti del partito dell’opposizione che vi hanno chiesto asilo, e sotto protezione brasiliana. Non risulta ancora che l’assedio sia stato tolto del tutto, e in ogni caso il governo di Maduro ha revocato in modo unilaterale la protezione brasiliana – con una decisione che il Brasile non accetta. Ma sembra che dopo l’arrivo di González Urrutia in Spagna la fornitura di elettricità sia stata ripristinata, come a suggerire che le due cose fossero collegate, e che l’assedio mirasse a distrarre dalla espulsione.

Il governo Maduro cerca ora di creare la finzione di un gesto magnanimo a conclusione di un duro scontro e per questo insiste che ci sarebbe stato col governo spagnolo un accordo – che lo stesso governo spagnolo smentisce.

In realtà il quadro è più complesso. “Il 10 gennaio 2025, il presidente eletto Edmundo González Urrutia presterà giuramento come presidente costituzionale del Venezuela”, promette María Corina Machado, leader dell’opposizione che non ha potuto candidarsi alle elezioni, spiegando che con i suoi 75 anni non si poteva esporlo in prima linea. Salvaguardare la sua libertà e incolumità era dunque una priorità e una “mossa strategica”. E questo può essere uno slogan. Se però aggiungiamo alle elezioni rubate, alla persecuzione della opposizione e alla violazione delle immunità diplomatiche anche il particolare del militare statunitense che è stato appena arrestato in Venezuela, lo scenario evoca episodi del passato, come quando nel 1989 gli Stati Uniti intervennero militarmente per deporre Noriega a Panama. O anche, più di recente, l’intervento multinazionale africano in Gambia nel gennaio 2017, contro un presidente che pure rifiutava di accettare la vittoria della opposizione (e che peraltro poi scappò con la cassa). Ci sono naturalmente anche molte differenze, se non altro perché, per una mossa del genere, ci vorrebbe un coinvolgimento anche del Brasile, e ideologicamente Lula sarebbe in teoria incompatibile con un tale “interventismo”. Il presidente brasiliano però è sempre più furibondo nei confronti di Maduro, che lo ha addirittura accusato di proteggere nella ambasciata argentina “attività terroristiche”, e al quale ha risposto che è “peggio di Bolsonaro”. Già come esito della nuova crisi il flusso di migranti venezuelani in Brasile è tornato a crescere del 25 per cento. Subito dopo la notizia dell’arrivo di González Urrutia in Spagna, Lula ha dunque convocato una riunione di emergenza con i membri della sua squadra diplomatica. L’argentino Milei ha a sua volta risposto chiedendo sia il deferimento di Maduro alla Corte penale internazionale – richiesta fatta anche da Ecuador, Uruguay, Congresso di Colombia e un gruppo di 31 ex presidenti – sia l’espulsione del Venezuela da tutti i forum regionali. Anche da Washington è arrivata una nuova manifestazione di appoggio al leader espulso (e a Brasile e Argentina). L’Unione europea, oltre all’Osa, al Cile e al Paraguay, condanna quel che sta avvenendo in Venezuela, ma per ora Maduro non sembra subire abbastanza pressioni da cambiare metodo, tanto meno accettare la sconfitta elettorale.

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