editoriali
Orbán s'arrende all'invasore del 1956
Se invasi, non avremmo fatto resistenza, dice il guru del premier ungherese
Il principale consigliere di Viktor Orbán, considerato anche uno degli ideologi del primo ministro ungherese, è finito in un caos dopo aver dichiarato che l’Ungheria si sarebbe fatta invadere dalla Russia senza opporre resistenza come invece ha fatto l’Ucraina, vista la lezione appresa con la rivolta schiacciata dai carri armati sovietici nel 1956. “Ogni paese ha il diritto di decidere del suo destino da solo”, ha detto Balazs Orbán (che non ha nessuna parentela con il primo ministro, di cui è il direttore politico). “Ma sulla base del 1956 non avremmo fatto ciò che ha fatto il presidente Zelensky due anni e mezzo fa, perché è irresponsabile”.
Secondo Balazs Orbán, “le vite preziose ungheresi” devono essere preservate e non sacrificate per difendere il paese. Il leader del più forte partito di opposizione, Peter Magyar, ha accusato il consigliere di Orbán di aver “umiliato la memoria di migliaia di combattenti ungherese per la libertà, centinaia dei quali – a differenza di Balazs Orbán – erano disponibili a sacrificare le loro vite per la libertà e l’indipendenza del loro paese”.
Magyar ha chiesto le dimissioni di Balazs Orbán che – come in altri casi che hanno imbarazzato il suo capo – potrebbe essere sacrificato dal primo ministro. Ma le sue dichiarazioni rivelano il pensiero profondo di Viktor Orbán. Sono lontani i tempi in cui era un giovane combattente per la libertà e per la democrazia, che si affermava sulla scena politica ungherese proprio ricordando il sacrificio fatto nel 1956. Oggi preferisce la comodità del free riding. Sta dentro l’Ue e la Nato, ma stringe partnership con Russia e Cina. Afferma la neutralità economica solo per ottenere gli investimenti degli avversari dell’occidente. Orbán è disponibile a sacrificare tutto: libertà, democrazia, diritti dei suoi cittadini. E a farsi sottomettere da una potenza occupante repressiva. Bell’esempio di leader forte che difende la sovranità.