Beirut, un gruppo di uomini si è radunato per le strade sotto l'effigie di Nasrallah (Foto di Houssam Shbaro/Anadolu tramite Getty Images) 

L'editoriale dell'elefantino

La morte di Nasrallah e quel che resta da fare con i tiranni di Teheran

Giuliano Ferrara

Ora bisognerebbe trovare un modo di finirla di commentare e guardare, per imboccare la via stretta che porta alla distruzione del regime che minaccia la pace del mondo e l’esistenza degli ebrei

Non si festeggia mai la morte, nemmeno quella del nemico, ma questo di Nasrallah è dies aureo signanda lapillo (un giorno da iscrivere in lettere d’oro). Alcuni di noi hanno sempre avuto il sospetto che la salute, diciamo pure la salvezza comune, dipendesse dai servizi di intelligence israeliani, che avevano così clamorosamente fallito il 7 ottobre, e dalla conduzione ferma della risposta militare e politica dell’intero Israele, sotto la conduzione del suo governo e del suo premier e del suo gabinetto di guerra. Va bene il Mein Kampus, va bene la schifosa vignetta antisemita, va bene la palude dell’Onu e la forzatura dell’umanitarismo diretta contro gli ebrei e il loro stato e non contro gli assassini di Hamas e gli scudi da loro impugnati per ottenere vittime e consenso, va bene la commenteria collaborazionista di tanti finti innocenti de sinistra che dannano l’ebreo (ab)errante Netanyahu, va bene la richiesta incessante di tregua a spese di chi combatte e deve vincere, non ha altra scelta, va bene la febbre del negoziato e il finto attaccamento alla sorte degli umani intrappolati come ostaggi nella rete disumana dei tunnel e degli appartamenti del valoroso popolo di Gaza, ma alla fine quello che contava era quello che accadeva sul campo dell’onore, come si diceva una volta.
 

Quando si avranno notizie di Sinwar il colpo mortale agli assassini armati e pagati dagli Ayatollah, dai tiranni di Teheran, sarà raddoppiato. Vedrete quanto saranno estesi i commenti e la polvere bagnata sul pericolo di una guerra generalizzata, sulla reazione del regime prenucleare dei mullah, sui diversi fronti della guerra di sterminio degli ebrei di Israele e di rolling back dell’occidente. Combattere e cercare di vincere, unire un paese e un popolo e sacrificare sé stessi, i riservisti gloriosi vivi e morti, sarà considerato avventurismo di un uomo solo al comando che lavora per la sua salvezza personale da processi per abuso di sigari in regalo. Vedrete quante balle targate Bbc, hanno già cominciato la litania dei santi a proposito del fondatore di Hezbollah, degli amichetti dei D’Alema internazionali e delle diplomazie prive di senso e dei volontari Onu che hanno partecipato all’impresa eroica di resistenza del 7 ottobre. Vedrete quanti studenti impacciati dalla loro ignoranza e quanti rettori magnifici impacciati dalla loro codardia, quanti giornalisti e osservatori molto imparziali, geopolitici della mutua, troveranno lo slancio necessario per stigmatizzare il coraggio e la perizia e la determinazione israeliana, per rovesciare la frittata. Però la politica ha ancora un senso finché non tramonta la lezione immortale di Churchill: never surrender, never give up.
 

Non ci sono veri vincitori in una storia che comincia con la tortura, l’assassinio e il sequestro di bambini e vecchi inermi, e continua con la detenzione di cento ostaggi nel carcere a cielo chiuso che è la Gaza di Sinwar. La certezza della reazione corale di Israele non riscatta nonostante le vittorie la pena per quanto è successo, per la Shoah del deserto che era stata ideata e perpetrata allo scopo di isolare e battere e umiliare una nazione nata per volontà internazionale, legittimata dalle Nazioni Unite di una volta, via d’uscita dal passato coloniale inglese che ritorna nei commenti pro arabi e focolare per i perseguitati di millenni cui il sionismo nazionale e popolare ha offerto un rifugio di salvezza. Resta molto da fare, bisognerebbe trovare un modo di finirla di commentare e guardare, un modo di partecipare attivamente, e soprattutto imboccare la via stretta, biblica ed evangelica, che porta alla distruzione dell’odioso regime che dal 1979 minaccia la pace del mondo e l’esistenza degli ebrei, due cose identiche nella sostanza.

Gli aggiornamenti dal medio oriente: la giornata

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.