editoriali
L'aria antisemita di Francia fa paura
Emmanuel Macron mette da parte la crisi con Benjamin Netanyahu e assiste alla partita contro Israele
Abitualmente, il presidente della Repubblica francese assiste a una partita dei Bleus solo quando la Nazionale francese di calcio arriva alla finale di una competizione internazionale. La partita di questa sera tra Francia e Israele è, dal punto di vista calcistico, una semplice gara di Nations League, competizione periferica rispetto a Europei e Mondiali, ma ha un alto valore simbolico alla luce del contesto tensione geopolitica tra i due paesi e dei timori della comunità ebraica francese a una settimana dal pogrom di Amsterdam. L’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, e il suo primo ministro, Michel Barnier, hanno dunque deciso di essere presenti sulle tribune dello Stade de France di Saint-Denis, “per inviare un messaggio di fraternità e solidarietà dopo gli atti antisemiti intollerabili che hanno fatto seguito al match di Amsterdam”, secondo le parole dell’entourage del presidente.
Con la sua presenza Macron vuole anche sottolineare la sua netta opposizione alla France insoumise, il partito della sinistra radicale francese guidato da Jean-Luc Mélenchon, che aveva chiesto l’annullamento della partita alla luce dell’attualità nel vicino oriente.
Per Paris Match, la partecipazione di Macron è una sorta di “partita di ritorno” per riacquistare la fiducia degli ebrei francesi, dopo alcune scelte che avevano indignato sia i rappresentanti della comunità ebraica nazionale sia le autorità israeliane. Come la sua mancata partecipazione alla Marcia contro l’antisemitismo il 12 novembre 2023, a un mese dai massacri di Hamas, e gli attacchi ripetuti al governo di Netanyahu. La sua presenza è anche un modo per minimizzare la convocazione dell’ambasciatore israeliano a Parigi, in seguito all’incidente diplomatico a Gerusalemme che ha visto protagonisti due dipendenti del consolato francese mentre era in visita il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. Parigi prova a separare politica e ideali profondi in una partita di calcio definita “ad alto rischio”.