Editoriali
L'ossessione migratoria dell'Ue si schianta contro la realtà della Siria
La realpolitik dei paraocchi si schianta contro la realtà. Uno dopo l’altro, i governi europei hanno detto che le decisioni sulle domande di protezione internazionale non verranno trattate fino a quando non ci sarà più chiarezza sul futuro del paese
I governi europei non hanno atteso 48 ore dalla caduta di Bashar el Assad per annunciare la sospensione delle procedure sulle richieste di asilo per i rifugiati provenienti dalla Siria. Uno dopo l’altro, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Belgio, Francia e infine anche l’Italia, dopo un vertice a Palazzo Chigi nella serata di lunedì, hanno detto che le decisioni sulle domande di protezione internazionale non verranno trattate fino a quando non ci sarà più chiarezza sul futuro del paese. Alcuni hanno giustificato la scelta come una garanzia per i rifugiati: come accaduto con l’Afghanistan alla presa di Kabul da parte dei talebani, la Svezia ha sospeso anche le decisioni di rigetto dell’asilo. Altri, come il Belgio, hanno voluto sottolineare che chi è arrivato negli ultimi cinque anni potrebbe vedersi ritirare lo status di rifugiato. Il ministro dell’Interno austriaco, Gerhard Karner, si è spinto ben oltre con un “programma di rimpatrio e di espulsione verso la Siria”. Eppure, la Commissione europea si è mostrata molto prudente. “Siamo convinti che la maggior parte dei siriani nella diaspora sogna di tornare nel proprio paese. La situazione attuale è di grande speranza ma anche di grande incertezza” e “non ci sono le condizioni per ritorni volontari sicuri e dignitosi in Siria”, ha detto un portavoce.
Giovedì i ministri dell’Interno dell’Ue discuteranno delle ripercussioni della caduta di Assad. Lo faranno prima dei ministri degli Esteri. E’ un ulteriore esempio dell’ossessione migratoria dell’Ue, che mina la sua capacità di avere una politica estera efficace. E’ la stessa ossessione che aveva spinto Italia, Austria e altri sei stati membri a chiedere a Ursula von der Leyen di avviare una normalizzazione delle relazioni con il regime di Assad e di nominare un inviato speciale per la Siria con l’obiettivo di facilitare i rimpatri. La realpolitik migratoria si è schiantata domenica contro la realtà. Il modo migliore per convincere i siriani a rientrare nel loro paese non è di sospendere l’asilo, ma di lavorare per garantire loro che in futuro la Siria sarà una democrazia inclusiva.