editoriali
Poste, una privatizzazione all'inglese
Il governo laburista di Starmer cede la Royal Mail al magnate Kretinsky. Lezioni di pragmatismo per politici e sindacalisti italiani
Per la prima volta dal 1516, le Poste britanniche passeranno in mani straniere. Il governo laburista di Keir Starmer ha autorizzato la cessione di International Distribution Services, la holding che controlla Royal Mail e il corriere Gls, al magnate ceco Daniel Kretinsky, che attraverso la sua Vesa Equity Investment già ne possedeva il 25 per cento. Il governo, che era uscito dall’azionariato del gruppo dopo la privatizzazione voluta da David Cameron e George Osborne nel 2015, manterrà solo una golden share, attraverso la quale potrà esercitare una sorta di diritto di veto su questioni relative ai futuri passaggi proprietari e allo spostamento della sede legale o fiscale. Kretinsky, dal canto suo, ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di cedere la società inglese e ha raggiunto un accordo con i sindacati, i quali hanno ammesso che si tratta del “miglior accordo possibile” per salvare Royal Mail dalla sua disastrosa situazione.
I lavoratori saranno coinvolti in una forma di compartecipazione agli utili, ricevendo premi pari al 10 per cento dei dividendi pagati. Anche gli obblighi di servizio pubblico sono stati confermati: il francobollo manterrà un costo indifferenziato per tutte le destinazioni domestiche e le lettere continueranno a essere recapitate sei giorni su sette, mentre per i pacchi la consegna avverrà solo dal lunedì al venerdì. Al momento la futura proprietà non ha preso posizione sulla proposta di Ofcom, il regolatore britannico, di consentire il recapito a giorni alterni della posta non prioritaria, con risparmi stimati nell’ordine dei 300 milioni di sterline. La decisione di Starmer non ha trovato la contrarietà pregiudiziale dei Tory così come il Labour non aveva avuto obiezioni di principio alla privatizzazione del gruppo quasi 10 anni fa. Il modo in cui gli inglesi hanno affrontato la questione, con pragmatismo e puntando alla sostanza (gli impegni operativi) e non alla forma (la carta di identità dell’azionista) rappresenta una lezione di maturità su cui i politici e i sindacalisti italiani farebbero bene a riflettere.