Maschere austriache
Allarme destra a Vienna. L'establishment europeo si svegli
Kickl, un neonazista capo della Fpö, è a un passo dalla premiership. Ma l’allarme ha un senso se l’establishment impara a governare tenendo conto di ciò che significano i voti alla destra radicale e se impara a cogliere le differenze (mai così evidenti) tra destra e destra
Ci si potrebbe risparmiare l’angoscioso e monotono allarme su Vienna, il cui governo sta per cadere nelle mani di Herbert Kickl. Kickl è un neonazista capo della Fpö, erede di Haider e di Strache, che ha vinto la maggioranza relativa, poco sotto al trenta per cento, nelle elezioni dello scorso autunno, e ora è a un passo dalla premiership dopo la fine della coalizione tra popolari, socialdemocratici e liberali fondata sul cordone sanitario contro di lui. Un segnale sinistro, dunque. Ma gli austriaci secondo una vecchia ironia convenzionale sono grandi confusionari, interessati alla confusione, e maestri di mascheramento. Hanno fatto credere al mondo che Motzhartd (noto musicista nato a Salisburgo, ma questa la grafia originaria del nome di famiglia, le cui origini erano sveve) era austriaco purissimo e Hitler tedesco (nato a Braunau am Inn, terra austriaca come poche altre): è sospettabile l’opposto.
Di questi mascheramenti l’Fpö è un caso speciale dalla sua nascita nel 1956, non appena terminata una denazificazione che fu in parte travestimento e amnistia. (La nostra è una storia diversa, tra reducismo e ciellenismo e arco costituzionale, fino al fenomeno Meloni, che ha cambiato tutto a sorpresa ma in direzione conservatrice più che reducista). Infatti la Fpö è stata al governo più volte nel passato. Con il socialista Bruno Kreisky aveva varcato per la prima volta la soglia dell’accettazione (nella forma dell’appoggio esterno), e poi con i popolari più volte in modo diretto.
Una minaccia per il futuro già sgonfiata nel passato, si direbbe. Anche se mai si era pensato che uno di loro potesse dirigere una coalizione dalla posizione di premier, con un junior partner al seguito, che è quanto in ipotesi adesso si prospetta, dopo che il capo ad interim dei popolari ha rovesciato di 180 gradi la posizione presentata dal partito agli elettori qualche mese fa (no ad alleanze con la Fpö). Il dettagliato e solforoso racconto della intera, ricca e contraddittoria parabola lo si può leggere su Le Grand Continent. Resuscitati, i nazisti austriaci non si sono mai decisi definitivamente, per decenni, tra moderatismo e radicalismo populista, tra nazionalismo pantedesco e austropatriottismo, tra impulso autocratico e programmi liberal-conservatori, insomma sono sempre stati un pastiche e una forma politica cangiante, con i tratti originari di volta in volta riemergenti e insabbiati. Al presente sono piuttosto a destra, piuttosto radicali, antimmigrazionisti duri, e piuttosto putinisti e antieuropeisti: bel problema, salvo sviluppi evolutivi imprevedibili.
L’elemento di allarme però c’è. Intanto aleggia su tutto lo scandalo di Ibiza del 2019, quando un filmato candid camera registrò una stravaccata conversazione dell’allora leader dell’Fpö con una spia russa, tra libagioni e altre corrività, il cui contenuto era: soldi dai soci di Putin e politica pro Putin in cambio, papale papale.
Poi è allarmante non solo che il partito sia sopravvissuto allegramente alla circostanza, ma che ora si riaffacci in forma potente alle soglie del potere per una crisi dell’establishment politico-costituzionale austriaco, da sempre solidamente caratterizzato da anni e anni di alleanze di unità nazionale tra popolari e socialdemocratici (che dopo la guerra avevano il 94 per cento dei voti, ora il 40 per cento), costretti stavolta a subire le bizze dei Verdi, il solito terzo polo pasticcione. Infine la prospettiva di un asse Vienna Budapest Bratislava, con le concomitanti avventure dell’AfD nella Germania dell’est, indica che un ampio cuneo, più che una spina nel fianco di Bruxelles, si sta facendo strada nel cuore centro-orientale dell’Unione europea. Non sono più esperimenti isolati. Comunque, l’allarme ha un senso se l’establishment impara a governare tenendo conto di ciò che significano i voti della destra radicale e se impara anche a cogliere le differenze, mai così evidenti, tra destra e destra, tra sovranisti di un tipo e dell’altro.