editoriali
Il verdetto su Rushdie. Il processo all'attentatore e il vero giudizio su ciò che significa per noi
Ancora più della condanna (scontata) in tribunale sul suo attentatore, sarebbe importante dimostrare vicinanza e affetto a uno scrittore che l'Iran vuole morto da trentacinque anni
Hadi Matar, il terrorista che ha accoltellato Salman Rushdie a New York nel 2022, è entrato in tribunale, scortato dalla polizia. È rimasto in silenzio, tranne per dire alla corte “buongiorno”. Rushdie testimonierà contro il suo accoltellatore, che si è precipitato sul palco per colpirlo dieci volte durante un seminario letterario alla Chautauqua Institution. Il romanziere 77enne è rimasto cieco da un occhio e ha riportato danni gravissimi ai nervi e al fegato. “Non penso che sia una brava persona, non mi piace”, ha detto dal carcere Matar di Rushdie. “Ha attaccato l’islam”. Matar, nato in America con doppia cittadinanza libanese, dice di aver letto “circa due pagine” del romanzo di Rushdie, “I versetti satanici”. Parlando alla Bbc, l’editorialista inglese Kenan Malik ha detto che se i critici di Rushdie hanno “perso la battaglia”, hanno invece “vinto la guerra”. “Il romanzo continua a essere pubblicato. Ma l’argomento che è sbagliato offendere determinate persone e gruppi è diventato molto diffuso. In una certa misura si potrebbe dire che la società ha interiorizzato la fatwa iraniana e introdotto una forma di autocensura”. Non si processa dunque soltanto un sicario (mandato forse dall’Iran a regolare i conti con Rushdie), ma l’idea stessa di libertà di parola, di espressione e di coscienza.
Intanto, nell’indifferenza del ceto letterario, da tre mesi è in carcere in Algeria per un delitto d’opinione simile il romanziere Boualem Sansal. “Suggerisco ai miei amici musulmani di leggere 'I versetti satanici', vedranno di persona che non c’è nulla di blasfemo, descrive una realtà che vedrebbero con i loro occhi se si liberassero dei paraocchi del condizionamento”, aveva scritto Sansal. “Suggerisco anche che scrivano a Rushdie per assicurargli il loro affetto”. Più di un verdetto scontato in tribunale, questo sarebbe il giudizio più importante su un caso che ci tormenta da quel giorno di San Valentino di trentacinque anni fa, quando Khomeini decretò la morte di uno scrittore.
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