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Editoriali
L'8 marzo a Teheran
Nessuna paura contro il regime-virus. La lotta delle iraniane è anche per noi
Il movimento “donna, vita, libertà” è nato molto prima prima delle proteste del settembre 2022 per la morte della ventiduenne Mahsa Amini. L’8 marzo del 1979, poche settimane dopo la rivoluzione iraniana, decine di migliaia di donne e uomini scesero in piazza a Teheran per protestare contro la legge dell’ayatollah Khomeini che imponeva alle donne l’obbligo di indossare l’hijiab in pubblico. Le proteste furono represse con violenza dal regime e da allora l’8 marzo in Iran è il giorno della resistenza contro l’oppressione delle donne iraniane, quotidiana, brutale, oggi come allora. Nonostante le misure sempre più repressive – una delle ultime è l’apertura di “cliniche psicologiche” per chi si rifiuta di indossare il velo, etichettando il desiderio di libertà come una malattia da curare – nonostante gli arresti, le condanne, le torture, la lotta coraggiosa delle iraniane non si fa intimidire, continua a sfidare le “linee rosse” del regime: basta una canzone.
E’ il giorno per urlare ancora più forte i nomi di tutte le donne rinchiuse nelle prigioni iraniane con accuse ridicole e false: sono almeno 125, molte sono condannate all’ergastolo o a morte, il 2024 è stato l’anno in cui sono state impiccate più donne, almeno 31. L’attivista curda Pashkhan Azizi è a rischio imminente di esecuzione, e con lei Verisheh Moradi e Sharifeh Mohammadi. Questa settimana il cantante iraniano Mehdi Yarahi è stato punito con 74 frustate per la sua canzone Roosarito: “Togliti la sciarpa, lascia che i tuoi capelli svolazzino”, recita un passaggio, nel video una donna balla senza velo. “Per ogni frustata che infliggono, più donne si toglieranno i veli. Più voci si alzeranno. E niente fermerà questa rivoluzione”, ha detto l’attivista Masih Alinejad. Poi si è rivolta all’occidente: “Negoziare i diritti umani con i barbari non vi salverà. Questo regime è un virus, si diffonderà se glielo permettete”.