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editoriali

Netanyahu prenda in mano Israele

Redazione

L’unità necessaria a un paese traumatizzato che non riesce a fidarsi della politica

Hamas ha lanciato razzi contro Israele, che ha ripreso i bombardamenti nella Striscia di Gaza. Sempre contro Israele, gli houthi hanno lanciato dallo Yemen un missile. Nel frattempo lo stato ebraico protesta e mette insieme una lunga lista di motivi. Il primo tra tutti sono gli ostaggi: gli oltre cinquanta rimasti nella Striscia, nelle mani di Hamas che non ha portato avanti i negoziati per la loro liberazione e per mantenere il cessate il fuoco nonostante la pressione degli Stati Uniti. Chi protesta teme che i nuovi bombardamenti possano soltanto mettere in pericolo chi è ancora nelle mani dei terroristi, vuole un accordo rapido, perché ha visto le condizioni di chi è tornato, ha sentito i racconti, ed è impensabile che si lascino ancora persone a subire quella sorte. Il secondo è la volontà di Netanyahu di licenziare il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, contro il quale il premier non ha avanzato critiche nel merito del suo lavoro ma una questione di fiducia. Chi protesta reputa la decisione di Netanyahu un tentativo di circondarsi di fedelissimi, di epurare l’Israele che non gli dice sempre di sì, di voler mostrare che le responsabilità del 7 ottobre sono di tutti, fuorché le sue.

   

Anche il presidente Isaac Herzog ha detto di essere turbato dal comportamento “divisivo” del governo, in cui ha fatto di nuovo ingresso Itamar Ben Gvir, l’estremista leader del partito Otzma Yehudi, Potere ebraico, contrario a ogni accordo con Hamas, indifferente agli ostaggi, sprezzante con le loro famiglie. Le proteste sono diverse rispetto a quelle composte di qualche mese fa. Quello che scende in piazza è un Israele che torna ai mesi in cui lottava contro la riforma della Giustizia. Non è solo un corteo determinato, è anche arrabbiato e infinitamente preoccupato. Oggi a pesare non ci sono soltanto i timori per il bilanciamento dei poteri e la democrazia, ma c’è anche l’incubo del 7 ottobre, di cui i traumi sono vivi, fanno male. Sono indimenticabili e i conti devono ancora essere chiusi. Per guarire dall’inguaribile Israele ha bisogno di non sentirsi più diviso.

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