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L'editoriale del direttore

Perché Trump odia l'Europa

Claudio Cerasa

Non c’entrano i surplus commerciali. Il presidente americano, con Vance e Musk, detesta l’Europa per quello che rappresenta, non per quello che fa. C’entra la libertà e un modello unico che fa paura anche a Putin. Una matita blu per Meloni  

Nell’intervista rilasciata ieri da Giorgia Meloni al Financial Times c’è un passaggio che merita di essere messo da parte e che riguarda una tentazione ricorrente all’interno dell’universo dei leader politici che cercano disperatamente di dimostrare che in fondo Trump è la Jessica Rabbit dei nostri tempi. Perché, è questo il ragionamento, Donald non è cattivo come sembra, “è solo che lo disegnano così”. Il passaggio in questione è quello in cui Meloni, in modo decisamente spericolato, dice di essere “d’accordo” con le posizioni espresse dal vicepresidente statunitense J. D. Vance sull’Europa alla Conferenza di Monaco. “Lo dico da anni”, ha sottolineato Meloni al Ft, “l’Europa si è un po’ persa”. L’ottimismo di Meloni su quelle che sono le vere intenzioni di Trump si colloca in una fascia  inarrivabile anche per un giornale ottimista come il nostro. Ma quello che a Meloni sfugge è che dietro alle parole ripetutamente offensive e agli atti ripetutamente ostili mossi da Trump nei confronti dell’Italia non vi è solo una strategia tattica, negoziale, ma vi è una precisa visione del mondo.

 

     

Questa visione del mondo emerge non nella parte legittima del ragionamento di Trump e Vance, quella in cui si dice che gli europei abbiano fatto i furbi sulla Difesa, risparmiando mentre gli americani mettevano i soldi, nel senso che gli europei hanno costruito parte della propria fortuna spendendo per il welfare e lo stato sociale quello che non hanno speso per la Difesa, mossi dalla consapevolezza che lo Zio Sam ci avrebbe messo una pezza. Questa visione del mondo emerge nell’istante stesso in cui si capisce che il trumpismo cova un odio per l’Europa che va al di là dei calcoli economici, dei bilancini commerciali. Trump odia gli europei in quanto europei, ama gli europei solo quando sono anti europei e con Putin condivide non a caso un obiettivo naturale: indebolire l’Europa per permettere ai grandi player globali di spartirsi il mondo senza avere un pericoloso competitor in mezzo alle scatole. I puntini, per fotografare il tema, sono tanti, e forse vale la pena metterli insieme, per capire cosa pensa l’universo Trump dell’Europa. C’è Trump che, come sapete, la considera semplicemente una parassita, come ha detto giorni fa senza giri di parole, e una parassita da punire con i dazi, da minacciare sulla Difesa, da escludere dai colloqui di pace sull’Ucraina.

 

C’è Vance, poi, che la detesta al punto da considerare “odiosa” l’idea di dover salvare l’Europa un’altra volta, come già successo dopo la Seconda guerra mondiale, come ha avuto modo di scrivere nelle chat del famoso gruppo su Signal, gruppo in cui in modo inavvertito e scellerato è stato inserito il direttore dell’Atlantic, beato lui, e che la considera più pericolosa per la libertà di quanto non lo sia la Russia, come ha tenuto a dire in un ormai celebre discorso  in Germania. C’è Musk che, come Vance e come Trump, ha sostenuto nei mesi scorsi il partito più anti europeista d’Europa, l’AfD, senza raccogliere i risultati sperati ma indicando una volontà esplicita nel sentirsi a proprio agio più con i partiti che l’Europa la vogliono combattere che con i partiti che l’Europa la vogliono difendere.

 

                    

 

Finora, le conseguenze dell’aggressione trumpiana, verso l’Europa, sono state interessanti: all’Europa, fino a questo momento, l’odio di Trump, nei suoi confronti, non ha fatto male, e in definitiva le minacce dell’Amministrazione trumpiana hanno spinto l’Europa a fare passi in avanti sulla difesa, hanno permesso all’Unione europea di riavvicinarsi al Regno Unito, hanno spinto la Commissione ad autorizzare maggiore debito comune, hanno spinto i grandi paesi europei a muoversi senza più ricercare l’unanimità per difendere gli interessi europei, hanno spinto le borse europee a registrare performance migliori rispetto a quelle americane proprio nei primi due mesi della presidenza di Trump.

 

Le conseguenze, come detto, sono sorprendenti e controintuitive. Ma quello che risulta ancora più interessante riguarda i motivi per cui Trump, esattamente come Putin, anche se per ragioni differenti, considera l’Europa come uno schifoso parassita. Trump odia l’Europa non per il suo surplus commerciale, non per il suo essere inadempiente sulla Difesa, non per il suo essere troppo spendacciona sul welfare, non per essere troppo rigida con i giganti della tecnologica sul piano della regolamentazione. Trump odia l’Europa per tutte le ragioni che spesso gli europei tendono a rimuovere quando parlano della loro Europa.

 

Trump, e forse anche Vance e forse anche Musk, odiano l’Europa perché, al fondo, la storia dell’Europa è la storia di un successo economico, come dimostra anche il termometro del deficit commerciale americano, gli americani comprano dall’Europa più cose di quelle che l’Europa compra dall’America, e le ragioni di questo squilibrio non sono quelle suggerite da Trump, parassiti, ma sono ragioni legate a tutto quello che l’Europa sa fare e che l’America sa fare meno bene: auto migliori (anche non elettriche), medicinali innovativi (il vaccino Rna è stato inventato in Germania), macchinari fondamentali per i chip americani, un mercato unico la cui ricchezza è superiore a quello americano e una capacità di miscelare difesa del mercato, difesa del welfare e difesa della libertà che rappresenta per il modello Trump un concorrente pericoloso, un’alternativa da detestare anche perché minacciosa per il proprio interesse, per il proprio business, per la propria idea del mondo.

 

Vance, come ha ricordato ieri, è l’ideologo di questo odio, interpreta la nostra way of life come una debolezza, una sottomissione. Trump odia l’Europa perché l’Europa è globalista, è dialogante, è democratica, in una misura diversa dal modello democratico che promuove Trump. In Europa, quando possibile, il potere si distribuisce, si limita, si regola, si diluisce, viene tenuto a bada da compromessi, istituzioni, trattati, e l’idea che nel mondo possa esistere un concorrente che difende la libertà senza mostrare i muscoli è un problema per chi ama il modello Trump e per chi persegue il modello Putin. Trump non odia l’Europa per il surplus. La odia perché gli ricorda quello che non può essere.

 

Ma quella lentezza non è inefficienza: è il prezzo della pluralità. L’Europa è un insulto alla sua visione verticale del potere. E l’idea che possa esistere una realtà istituzionale che dimostra che la libertà possa essere organizzata senza autoritarismo è un problema sia per Trump sia per Putin. La paura dell’Europa, per Putin e Trump, nasce da ragioni diverse, ma finisce per convergere in interessi comuni. Putin e Trump vogliono indebolire l’Europa, provando a renderla più vulnerabile, provando a renderla più divisa, provando ad allevare i cavalli di Troia dell’anti europeismo, non per quello che l’Europa fa ma per quello che l’Europa rappresenta. L’Unione europea è la somma di tutto ciò che Trump disprezza e che Putin combatte. E difendere l’Europa oggi è l’unico modo per arginare chi ha scelto di trasformare tutto quello che l’Europa rappresenta in un nemico da abbattere.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.