
Un elicottero americano in azione nel nord della Siria (foto Getty)
il secondo ritiro da damasco
Trump fa un regalo a Erdogan e taglia i militari in Siria
Il contingente americano sarà dimezzato e i curdi saranno lasciati soli contro turchi e jihadisti. I colloqui a Baku per evitare incidenti con gli israeliani
Come già avvenuto nel corso del suo primo mandato nel 2019, Donald Trump si appresta per una seconda volta a ridurre l’impegno militare americano in Siria. Le indiscrezioni sul taglio delle forze statunitensi si susseguono da mesi, ma nelle ultime ore si sono fatte più insistenti. Secondo funzionari della Casa Bianca sentiti dal portale al Monitor, l’intenzione dell’Amministrazione è di dimezzare i militari nel paese passando dagli attuali 2 mila uomini a mille. Fonti diplomatiche confermano al Foglio la portata del disimpegno, il cui compimento è dato per imminente. Due convogli di quasi trecento veicoli, secondo i media locali, avrebbero già lasciato la base americana Conoco, nella provincia orientale di Deir ez Zour, per dirigersi in Iraq e quel che resta del contingente dovrebbe assestarsi alla base di al Tanf, al confine con l’Iraq.
Se nel 2019 il ritiro di buona parte dei militari americani consegnò di fatto il paese nelle mani di Vladimir Putin, stavolta a beneficiarne potrebbe essere Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco, oltre a essere il grande sostenitore del nuovo leader siriano, Ahmad al Sharaa, minaccia da anni un nuovo intervento armato a nord per creare una zona cuscinetto e disarmare i curdo-siriani, vicini ai terroristi del Pkk. Mazloum Abdi, comandante delle Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda, si sta lentamente abituando all’idea di doversela vedere senza l’aiuto degli alleati americani. Era chiaro da tempo che l’accordo storico siglato il mese scorso tra Abdi e Sharaa, con cui si riconoscono ai curdi diritti e cittadinanza in cambio della loro unione alle Forze armate di Damasco, non era che un primo passo del disimpegno degli Stati Uniti. E’ stato proprio il Pentagono, nella persona del generale del Comando centrale, Michael Kurilla, a mediare l’intesa fra i curdi e Damasco e i passi successivi ne sono stati un’evoluzione naturale. Fra questi c’è stato il ritiro dell’Sdf da Aleppo e dalla diga di Tishreen, il cui controllo è passato in consegna alle forze armate di Damasco.
Per Trump, la Siria è ormai una faccenda di Erdogan e nemmeno la minaccia dell’Isis vale più lo sforzo militare americano nel paese. La caduta del regime di Bashar el Assad ha portato al crollo degli attacchi dei jihadisti nel paese, che però non sono del tutto scomparsi. Tre anni fa, quando Erdogan cominciò a minacciare una nuova incursione armata nel nord della Siria, il Pentagono rassicurò gli alleati curdi, preoccupati anche per le sorti della guerra all’Isis in caso di un’avanzata turca. Kurilla e i vertici militari americani ammettevano che il rischio era di creare i presupposti per un “Isis 2.0” in caso di un’offensiva turca e di un contemporaneo disimpegno americano. Sulle spalle dell’Sdf sarebbe ricaduto tutto l’onere della gestione delle carceri per i combattenti del Califfato, come quello di al Hol, che ospita migliaia di persone. Oggi lo scenario sembra essere cambiato e Trump ritiene che Erdogan possa sovraintendere alla sicurezza della Siria.
Così i turchi vanno via via radicando la propria presenza militare nel paese, soprattutto nella base T-4, a Palmira, dove i convogli di mezzi corazzati e di difesa missilistica Hisar sono stati spostati nelle scorse settimane. Era quello che temeva Israele, che per questo si era prodigata in bombardamenti massicci su quella base nei giorni precedenti. “Non vogliamo che la Turchia usi la Siria come base per le sue attività”, aveva detto Benjamin Netanyahu a Washington in occasione della sua visita a Trump. Ma i suoi tentativi di persuadere anche il presidente americano di quanto fosse rischioso consegnare la Siria alla Turchia, sponsor di Hamas, non sono andati a buon fine. “Ho un gran rapporto con Erdogan – aveva detto Trump ai cronisti alla Casa Bianca e alla presenza di Netanyahu, visibilmente teso – Ho fatto i complimenti a Erdogan, gli ho detto che è riuscito a fare quello che a nessuno era riuscito in duemila anni: conquistare la Siria. Così ho detto a Bibi: ‘Se hai un problema con Erdogan posso aiutarti’, ma devi essere ragionevole”. Tre giorni dopo, a Baku, una delegazione israeliana e una turca si sono incontrate per trovare un accordo ed evitare “incidenti” pericolosi durante le rispettive operazioni militari in Siria. Trump ritiene che il destino di Damasco possa reggersi sull’equilibrio fra pesi contrapposti, quello turco e quello israeliano, possibilmente senza scatenare nuove guerre. Un calcolo rischioso, se si guarda la storia della Siria.