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Libertà di commercio

“Riaffermare la prosperità degli Stati Uniti”. Appello contro i dazi

L’economia statunitense utilizza quasi due terzi delle sue importazioni come input per la produzione interna: “Prevediamo che i lavoratori americani saranno i più colpiti da queste politiche sbagliate”. Gli economisti liberali ricordano a Trump che il libero scambio (e non il protezionismo) ha fatto grande l’America

La prosperità dell’America è oggi, come è sempre stata, radicata nei princìpi dell’imprenditorialità e dello scambio economico volontario. Per 250 anni, gli Stati Uniti d’America hanno dimostrato al mondo che un popolo lasciato libero di innovare e produrre per se stesso, e tutti coloro che commerciano con esso, godranno di una crescente abbondanza, di standard di vita più elevati e di una maggiore sicurezza sia economica che militare. Da quando si è insediata nel 2025, l’Amministrazione Trump ha adottato forti dazi protezionistici con decreti esecutivi unilaterali. Queste misure hanno generato incertezza e caos nell’economia globale attraverso aliquote fortemente fluttuanti e ordinanze in continua evoluzione. Nel complesso, esse impongono il più grande aumento di imposte sul commercio in quasi un secolo. I sostenitori dei dazi   descrivono queste misure come atti di “liberazione economica”. Al contrario, i dazi invertono i principi di libertà che hanno inaugurato un’epoca di prosperità umana guidata dagli Stati Uniti.

 

               

 

I Padri fondatori americani rifiutarono la concessione di favori politici e l’imposizione del mercantilismo. Nelle sue istruzioni ai delegati della Virginia al Congresso continentale del 1774, Thomas Jefferson li esortò a difendere il diritto dei coloni americani “all’esercizio del libero scambio con tutte le parti del mondo”. Due anni dopo, la Dichiarazione d’Indipendenza elencò le cause che spinsero le colonie alla rivoluzione, tra cui la protesta contro il re Giorgio III “per aver interrotto il nostro commercio con tutte le parti del mondo”.

Oggi ci troviamo di fronte a una serie di azioni esecutive basate su affermazioni che: travisano la storia della nostra nazione; non comprendono l’attuale condizione economica della nostra nazione; diagnosticano erroneamente la natura dei mali economici della nostra nazione; rinnegano i princìpi economici fondamentali, consolidati e ampiamente accettati. Riteniamo necessario offrire le seguenti osservazioni correttive sui fondamenti della prosperità americana, che si basa sui princìpi di “pace, commercio e sincera amicizia con tutte le nazioni”. Prove economiche schiaccianti dimostrano che la libertà di commercio è associata a redditi pro-capite più elevati, a tassi di crescita economica più rapidi e a una maggiore efficienza economica. L’economia americana è un’economia globale che utilizza quasi due terzi delle sue importazioni come input per la produzione interna.

I dazi dell’attuale Amministrazione sono motivati da un’errata comprensione delle condizioni economiche in cui versano i cittadini americani. Prevediamo che i lavoratori americani saranno i più colpiti da queste  politiche sbagliate, sotto forma di un aumento dei prezzi e del rischio di una recessione autoinflitta.

Contrariamente ai timori diffusi, i deficit commerciali degli Stati Uniti non sono la prova del declino economico degli Stati Uniti o di pratiche commerciali sleali all’estero. Né questi “deficit” infliggono danni all’economia statunitense. E’ vero il contrario. I deficit commerciali degli Stati Uniti riflettono la grande fiducia degli investitori globali nell’economia americana. E questi investimenti, a loro volta, rafforzano ulteriormente l’economia produttiva e la domanda di dollari. I dazi “reciproci” minacciati e imposti dagli Stati Uniti agli altri paesi sono calcolati con una formula errata e improvvisata, priva di fondamento nella realtà economica. I calcoli si discostano dai metodi stabiliti per calcolare i dazi reciproci, come specificato nella Sez. 301 del Trade Act del 1974.

Le politiche protezionistiche dell’Amministrazione ripetono gli errori catastrofici della  Smoot-Hawley Tariff del 1930, alla quale si opposero 1.028 economisti. Questi studiosi avevano capito che i dazi protezionistici avrebbero provocato una guerra commerciale di ritorsione, aggravando così la stessa Grande Depressione che si proponeva di risolvere. Dazi simili alla Smoot-Hawley vengono imposti a un’economia globale molto più integrata, con il rischio di un risultato altrettanto devastante per i comuni cittadini americani.

Il “potere di imporre e riscuotere tasse, dazi, imposte e accise” è stato costituzionalmente riservato al Congresso in quanto rappresentante diretto ed esplicito del popolo. I tdazi del 2 aprile sono stati imposti senza il consenso di tale organismo, e senza alcun principio guida comprensibile. Al contrario, il giudizio e il legittimo potere riservati al Congresso, e quindi al popolo, sono stati sostituiti da unilaterali decreti esecutivi, giustificati da improvvisate dichiarazioni di emergenza ai sensi di una legge che non contempla nemmeno l’autorizzazione dei dazi. Questa presa di potere è incostituzionale.

La finestra per invertire queste politiche incoerenti e dannose si sta chiudendo. Rimaniamo tuttavia fiduciosi che solidi princìpi economici, le prove empiriche e gli avvertimenti della storia prevarranno sulle mitologie protezionistiche del momento.

Come economisti e studiosi di settori affini, invitiamo l’opinione pubblica americana, e di fatto il mondo intero, a unirsi a noi nel respingere questo percorso fuorviante di danni indotti dalle tariffe. Ribadiamo invece l’impegno a rispettare i principi fondamentali articolati da George Washington nel suo discorso di addio: “L’armonia, i rapporti liberali con tutte le nazioni sono raccomandati dalla politica, dall’umanità e dall’interesse. Ma anche la nostra politica commerciale dovrebbe tenere una mano equa e imparziale, senza cercare né concedere favori o preferenze esclusive; consultando il corso naturale delle cose; diffondendo e diversificando con mezzi gentili i flussi del commercio, ma senza forzare nulla”.

 

Appello pubblicato sul sito anti-tariff.org e firmato da:
Vernon Smith, James Heckman, Phil Gramm, Deirdre N. McCloskey, N. Gregory Mankiw, Robert F. Engle, et al.

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