
Foto ANSA
L'intervento
Influenza e commercio. Così Tbilisi fa spazio a Russia, Cina e Iran
Con la presa del potere da parte di Sogno georgiano, la Georgia si è progressivamente orientata verso un maggiore coinvolgimento politico ed economico con regimi autoritari. Più a lungo l’occidente resta distante, più forte diventa il messaggio: l’autoritarismo paga, e la democrazia è un optional
Un tempo la Georgia rappresentava la più grande speranza dell’Unione europea nel Caucaso meridionale – un paese deciso a scrollarsi di dosso l’eredità del dominio sovietico e a percorrere la strada dell’integrazione europea ed euro-atlantica. Oggi, quel percorso è minacciato. Il partito al governo, Sogno georgiano, sta rapidamente smantellando le istituzioni democratiche interne e tagliando i legami con i paesi democratici, mentre fa spazio all’influenza autoritaria dall’estero, in modo particolarmente pericoloso da parte di Cina, Russia e Iran. Così facendo, Tbilisi rischia di trasformarsi da partner affidabile a vulnerabilità geopolitica sul confine orientale dell’Ue. Questo cambiamento dovrebbe preoccupare l’Europa.
Da quasi sei mesi, dopo le elezioni parlamentari truccate e la repressione violenta dell’opposizione pacifica, Sogno georgiano ha scelto la sopravvivenza politica piuttosto che la riforma democratica. Tuttavia, questo processo di erosione democratica non avviene in isolamento, ma è accompagnato da una rete sempre più grande di partnership strategiche con regimi autoritari che minacciano di cambiare radicalmente l’orientamento geopolitico della Georgia. Invece di rispondere alle richieste del suo popolo, in maggioranza filoeuropeo, o dei suoi partner strategici come l’Ue e i suoi paesi membri, il Regno Unito e gli Stati Uniti, l’élite al potere sta approfondendo i legami con Cina, Russia e Iran, regimi che talvolta offrono accordi economici ma che erodono le norme democratiche.
Dalla fine della stagione delle coalizioni e la presa del potere da parte di Sogno georgiano come governo monopartitico nel 2016, Tbilisi si è progressivamente orientata verso un maggiore coinvolgimento politico ed economico con regimi autoritari. Così, le esportazioni della Georgia verso la Russia sono aumentate in modo sorprendente del 1.700 per cento, con le importazioni cresciute anch’esse del 350 per cento, nonostante l’occupazione russa del territorio georgiano e le ben documentate interferenze nelle elezioni. Con la sua retorica, il partito al potere assolve Mosca dalle responsabilità della guerra del 2008, spostando la colpa sulla precedente leadership georgiana. Questa narrazione contribuisce al piano più ampio di normalizzazione degli interessi russi nel paese. Sotto la copertura della “normalizzazione”, il governo ha promosso politiche che includono frontiere aperte, la ripresa dei voli diretti verso più di una decina di città russe, l’aumento del commercio e la promozione del turismo russo. Queste mosse hanno non solo arricchito gli interessi russi, ma anche desensibilizzato l’opinione pubblica georgiana alla realtà dell’occupazione e della sua influenza malevola.
Nel frattempo, l’allineamento strategico con la Cina si è accelerato. La firma di un accordo di partenariato strategico con la Repubblica popolare cinese nel 2023 ha segnato un punto di svolta, aprendo la strada al dominio delle imprese cinesi nelle infrastrutture più rilevanti della Georgia, dal porto di Anaklia, al nuovo aeroporto internazionale a grandi progetti idroelettrici. Questo cambiamento riflette una disponibilità a cedere il controllo di beni nazionali vitali a un regime che sfrutta gli investimenti economici per promuovere le proprie ambizioni geopolitiche.
Ciò che è più allarmante è che questa svolta ha coinciso con la fine effettiva della Carta di cooperazione strategica con gli Stati Uniti, cosa che indica il drammatico riposizionamento lontano dagli alleati tradizionali occidentali a favore di potenze autoritarie. Russia e Cina non sono le uniche potenze autoritarie con cui il governo georgiano coltiva rapporti. Anche le relazioni con l’Iran sono state visibilmente rilanciate, con visite di alto livello e con un netto aumento degli scambi commerciali. Solo nei primi mesi del 2025, il premier illegittimo ha visitato Teheran due volte, sollevando preoccupazioni significative sulla direzione strategica del paese. L’intento è chiaro: Sogno georgiano cerca partnership alternative per consolidare il proprio potere, anche a costo di isolare il paese dai suoi alleati democratici.
Questo cambiamento arriva anche in un momento in cui il governo sta smantellando apertamente il framework filoeuropeo della Georgia. La brutale repressione degli oppositori politici, l’intimidazione ai media e il controllo sul sistema giudiziario hanno già spinto pericolosamente la Georgia vicino al modello bielorusso. E ora, con asset strategici come Anaklia sull’orlo di essere consegnati alla Cina, la Georgia non sta semplicemente regredendo: si sta riorientando.
Non si tratta soltanto del problema di un paese. L’Europa non può permettersi di trattare questa crisi come una semplice disputa politica interna. Il ritiro della Georgia dalla democrazia e il suo crescente allineamento con attori autoritari creano un vuoto di potere che questi ultimi sono desiderosi di sfruttare. In gioco non c’è solo il futuro democratico della Georgia, ma la stabilità di un’intera regione affacciata sull’Iran, dominata dalle ambizioni russe e ora infiltrata dall’ingegneria economica di Pechino. Il Caucaso meridionale si trova all’incrocio tra Europa, Asia e medio oriente. L’instabilità qui si riversa nel Mar Nero, nei Balcani e persino nel Mediterraneo, dove l’Italia ha storicamente svolto un ruolo stabilizzatore e di leadership.
Eppure, nonostante i numerosi segnali d’allarme, l’Ue fatica a reagire con decisione. In assenza di una risposta unitaria dell’Ue, è essenziale che siano i singoli stati membri a prendere l’iniziativa. L’Italia è particolarmente ben posizionata per farlo, forte della sua esperienza, del disimpegno dall’iniziativa Belt and Road e della sua strategia regionale di lungo corso. La Francia deve fare la sua parte, data la sua influenza sulla politica estera dell’Ue.
Servono più pressioni diplomatiche mirate, non meno; più sanzioni nazionali; più pressione su Tbilisi affinché rispetti le norme democratiche; e più solidarietà con il popolo georgiano, che continua a lottare per la democrazia nelle strade da oltre 150 giorni. Germania, Paesi baltici, Repubblica ceca, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti hanno già imposto sanzioni bilaterali contro funzionari georgiani coinvolti nel regresso democratico. Italia, Francia e altri Paesi dell’Ue dovrebbero unirsi a loro e promuovere un’azione coordinata per fermare gli abusi sistematici dei diritti umani, impedire il controllo cinese sul porto di Anaklia sul Mar Nero, congelare i beni illeciti e pretendere elezioni monitorate a livello internazionale.
Il popolo georgiano non ha voltato le spalle all’Europa. Continua a sventolare bandiere dell’Ue, continua a subire arresti e intimidazioni in difesa dei valori europei. Ma ogni giorno che l’Europa esita, la finestra si restringe. Più a lungo l’occidente resta distante, più forte diventa il messaggio: l’autoritarismo paga, e la democrazia è un optional. L’Italia ha il potere di garantire che questo non sia la lezione che si apprende a Tbilisi.
Tinatin Khidasheli
ex ministra della Difesa della Georgia, oggi è direttrice del think tank Civic IDEA, a Tbilisi

Editoriali