Giustizia, ora tocca al governo
Il Sì del Senato è un piccolo passo. Consigli per Palazzo Chigi
L’approvazione in Senato della riforma del processo penale (voto di fiducia sul maxiemendamento interamente sostitutivo del disegno di legge delega licenziato più di due anni fa) è il penultimo passo per arrivare alla terza lettura alla Camera, dove però la maggioranza è più sicura. Dopo il voto a Montecitorio, entro tre mesi – invece dei dodici previsti nella redazione precedente – il governo dovrà emanare i decreti attuativi. Se sul merito della riforma si possono esprimere pareri articolati, va sottolineato il fatto che il Parlamento riesca a deliberare in materia di giustizia, riappropriandosi di una prerogativa costituzionale che sarebbe ovvia, ma che nei fatti è stata in molti casi ostruita dalle ingerenze del cosiddetto “partito delle procure”.
I temi che hanno suscitato più attenzione riguardano la limitazione del tempo disponibile per le indagini preliminari, un maggiore controllo delle intercettazioni e il prolungamento dei termini di prescrizione, ma anche l’aumento delle pene per alcuni reati, a cominciare dai furti in appartamento. Tuttavia altre disposizioni considerate “minori” finiranno con l’avere effetti rilevanti sull’amministrazione della giustizia, e si sbaglia a sottovalutarle. Particolarmente rilevante è la delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, che prevede una semplificazione delle procedure e la revisione delle modalità di accesso alle misure alternative alla detenzione – insieme a una riconsiderazione dell’assistenza medica, soprattutto psichiatrica, per i detenuti e alle misure di integrazione per gli stranieri. Anche la modifica dell’organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, che attribuisce al procuratore della Repubblica il potere e il dovere di far osservare le disposizioni sull’iscrizione delle notizie di reato, apparentemente puramente burocratica, può servire a mettere ordine e a ristabilire un minimo di sistema gerarchico negli uffici giudiziari.
Sui temi considerati più rilevanti, si nota una contraddizione tra quelli che puntano a ridurre la durata dei processi, come la riduzione dei tempi per le indagini preliminari, e quello che invece puntano ad allungarli, per esempio l’aumento dei tempi di prescrizione dei reati. La prima di queste misure può essere considerata anche una forma iniziale di riequilibrio tra accusa e difesa, visto che le indagini preliminari rappresentano una fase disponibile esclusivamente alle procure, in cui la difesa ha un ruolo ancillare, anche perché non può confrontarsi a pieno con ipotesi di reato ancora parziali. Il protrarsi di questa fase, spesso accompagnata dalla propalazione di frammenti di intercettazioni, agevola una specie di processo mediatico preventivo, che poi in molti casi non corrisponde affatto a quello giudiziario che segue (come dimostra l’esempio delle indagini su centinaia di inquisiti per Mafia capitale, poi prosciolti).
L’aumento delle pene per alcuni reati tende a evitare che scippatori e rapinatori continuino a delinquere anche quando sono stati identificati e condannati a pene coperte dalla condizionale, il che potrebbe provocare allarme sociale e spingere a forme di autodifesa la cui estensione può risultare pericolosa.
Il tema su cui più si è appuntata la critica della magistratura associata è quello della limitazione delle intercettazioni, la cui trascrizione viene allegata alle richieste di misure cautelari, ma su questo bisognerà vedere come il governo eserciterà la delega in merito. In ogni caso è bene notare che si comincia ad affermare un principio fondamentale, e cioè che non possono essere propalate intercettazioni che riguardano persone che non sono investite dal procedimento, e che quindi hanno il diritto a vedere garantita la loro riservatezza. Il principio è sacrosanto, ma per ora è solo un principio.
Infine, ma non per ultima, la questione che suscita più dubbi è il prolungamento dei termini di prescrizione dei reati, che in sostanza permette un prolungamento di tre anni dei procedimenti penali, che già sono interminabili. Le cause di questa lentezza sono molte, per affrontarle con efficacia bisognerebbe migliorare la produttività degli uffici giudiziari e semplificare la legislazione, ma su questi problemi la magistratura associata ha elevato un muro di resistenza corporativa difficile da valicare. Anche di questo si dovrà occupare il governo.