L'antimafia in fumo
Le pericolose esondazioni dei magistrati sulla legalizzazione della marijuana
L’ipotesi di legalizzazione della marijuana, proposta da tempo dai Radicali, apre problemi seri, sia sul piano della difesa della salute sia su quello del messaggio che si darebbe alle giovani generazioni (che non si capisce perché debbano essere incentivate, e non disincentivate, a utilizzare droghe leggere). Naturalmente è lecito discutere di questi temi ogni cittadino ha il diritto di dire la sua. Però quello che rappresenta un’anomalia è il voler dimostrare l’indimostrabile e presentare questa ipotesi come scelta necessaria per combattere la criminalità organizzata. Settori della magistratura sono scesi in campo, a cominciare dall’ineffabile procuratore Henry John Woodcock, che ha ricevuto il consenso entusiastico di Roberto Saviano e quello del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che ha addirittura proposto la creazione di un nuovo monopolio statale per la coltivazione, la fabbricazione e la distribuzione della marijuana. La mobilitazione dell’antimafia culturale e istituzionale a favore della marijuana si presenta come la soluzione, invece è essa stessa il problema. La lotta all’illegalità diffusa e organizzata deve partire dal rispetto della legge che c’è, il che, peraltro, per i magistrati è un preciso dovere. Invece una parte di loro pretende sempre più spesso di usurpare il ruolo del legislatore e attorno a questa esondazione si creano convergenze che tentano di forzare l’opinione pubblica e la decisione politica.
Questo è un problema per la democrazia, che vede sorgere da ogni parte iniziative che puntano a esautorare i poteri legittimi sostituendoli con confusi movimenti che si presentano come i tutori della giustizia, di una giustizia “sostanziale” che non parte dall’osservanza delle leggi e del sistema istituzionale. Non è questione di diritto di opinione. Qui viene utilizzata una funzione pubblica delicatissima, che ha alla base il rigoroso rispetto della legge e delle istituzioni, per promuovere campagne politiche, il che è estraneo alle funzioni della magistratura. Per di più ci si mette alla testa di movimenti di opinione, mentre bisognerebbe dimostrare anche su questi temi la più rigorosa imparzialità. L’imparzialità è il fondamento dell’indipendenza dell’ordine giudiziario. Quando viene violata la prima si indebolisce la seconda, ma a quanto pare il Csm non si rende conto di quanto perniciosa sia questa spirale.