La post-verità e le pre-prove di Zuccaro
Genesi di un processo mediatico basato sulle “ipotesi” di un procuratore
Zuccaro fa marcia indietro. Il procuratore di Catania, nelle ultime settimane al centro dell’attenzione mediatica per le sue affermazioni sui rapporti tra ong e trafficanti di migranti, parlando alla commissione Antimafia e alla commissione Migranti in Parlamento ha ritrattato molte delle affermazioni “forti” fatte in precedenza. “A mio avviso alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti” aveva detto Zuccaro, salvo poi aggiungere, una volta liberati gli animal spirits della stampa, di non avere “prove giudiziarie” a supporto della sua certezza sui fatti. Sapeva senza avere prove utili per un processo. Aveva però la certezza derivante da “fonti segrete”, non meglio specificate. Il Copasir, l’organo parlamentare che sovrintende all’intelligence, ha subito smentito ogni coinvolgimento nella faccenda.
Il complicato dossier è dunque passato a Frontex, l’agenzia europea che si occupa di tutelare i confini dell’Unione, i cui rapporti hanno però smentito Zuccaro. La “certezza” si è dunque trasformata in un’“ipotesi di lavoro”, senza elementi probatori. Le sue affermazioni più forti sono state smentite anche dal procuratore di Siracusa e da quello di Trapani, che pure un’inchiesta vera l’ha aperta. Eppure tutti i media hanno parlato a lungo delle dichiarazioni di Zuccaro, alimentando il sospetto che una qualche verità, in fondo in fondo, ci debba essere. Nell’epoca della post-verità, viene così celebrato un processo mediatico, completamente indipendente da quello giudiziario, fondato sulle pre-prove di un magistrato: le sue ipotesi, le sue impressioni. Naturalmente in un processo in cui si giudicano post-verità sulla base di pre-prove vale la presunzione di colpevolezza. Fino a pre-prova contraria.