Di Matteo faccia chiarezza
Candidato al governo da Grillo, così il pm diventa uomo di parte
Antonino Di Matteo un giorno non conferma ma il giorno dopo non esclude che farà il ministro in un governo a 5 stelle. Un’ambiguità lessicale (e passi pure), ma soprattutto sostanziale (sulla quale non si può far finta di nulla).
Con il caso Di Matteo ci si ritrova catapultati nel passato, al giorno del “mai dire mai” con cui Antonio Ingroia anticipò la sua candidatura, pochi istanti prima di salire sull’aereo che lo avrebbe portato in Guatemala a combattere i narcotrafficanti sotto la bandiera dell’Onu. Il procuratore aggiunto di Palermo voleva fare il premier ma alle elezioni registrò un flop clamoroso e per salvarsi trovò riparo in un posticino di sottogoverno messogli a disposizione dal fraternissimo amico Rosario Crocetta, governatore della Sicilia. Ci risiamo. Di Matteo farà il ministro? Servono chiarezza e certezza.
Non tanto per riempire di titoloni i giornali che non hanno lesinato pagine per Di Matteo pubblico ministero della Trattativa stato-mafia. Non tanto per la schiera dei supporter che aspettano la sua incoronazione politica per dire che mica è stato lui, lo hanno obbligato a imboccare un’altra strada per fare ciò che in magistratura gli è stato impedito di portare a termine. Non tanto per quelli che hanno tifato per Di Matteo affinché approdasse, dopo mesi di polemiche, bocciature e ricorsi alla tanto agognata Direzione nazionale antimafia (dalla cui, se le indiscrezioni dovessero trovare conferma, non esiterebbe a defilarsi). Non tanto per gli elettori che voteranno il Movimento pur di averlo come ministro dell’Interno. Non tanto per tutto questo. La chiarezza è dovuta innanzitutto per rispetto nei confronti della toga che indossa. Una toga che gli impone di essere, ma anche di apparire imparziale e indipendente. Fino a che punto ci si può fidare di un giudice militante e, peggio ancora, ministro in pectore?
Finora il pubblico ministero più scortato d’Italia si era ritagliato il suo spazio nella politica dei convegni, delle interviste e delle adunate di piazza. Oggi, con Grillo che dice di avere ricevuto il sì di Di Matteo a una sua assunzione di responsabilità in un futuro governo, le cose sono di colpo cambiate. Senza una smentita, il pm del processo sulla fantomatica trattativa dall’altro ieri appare come un militante del 5 stelle. Potrà continuare, in queste condizioni, a svolgere la delicata funzione di magistrato? Una campagna elettorale in toga sarebbe troppo anche per gli uomini che, in buona fede, vedono in lui il solito salvatore della patria.
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