Alla Festa del Foglio la lezione di “giustizia giusta" di Legnini
Il vicepresidente del Csm ribadisce la sua idea sulle toghe da talk show: “I magistrati hanno il diritto di esprimere le loro opinioni ma senza dimenticarsi della necessità di apparire terzi e imparziali ai cittadini”
Lo hanno accusato di voler “censurare” il libero pensiero, di voler impedire ai magistrati di esprimersi. Il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, dopo le sue parole sui magistrati che con troppa facilità passano dai talk show alle aule dei tribunali, è diventato una sorta di “nemico pubblico uno”. Dopo di lui, però, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spiegato che la toga non può essere indossata come fosse “un abito di scena”. E così, quello che Il Foglio ha definito l'#AllarmeDavigo, è diventato molto di più di un semplice “allarme”.
Intervistato alla Festa del Foglio da Annalisa Chirico, Legnini prova a chiarire, fuori dalle polemiche che lo hanno investito, il suo pensiero: “Il magistrato ha il diritto di esprimere le proprie opinioni? Certo. Può farlo attraverso i mezzi di comunicazione? Ovvio che sì. Ma io credo che, quando lo fa, non può dimenticarsi della necessità di apparire terzo e imparziale ai cittadini”.
Per rafforzare la propria testi Legnini cita un'indagine fatta Nadio Delai e Stefano Rolando che hanno indagato “l'immagine sociale” dei magistrati. Il vicepresidente del Csm cita una domanda sulla percezione di quanto le toghe possano essere influenzate da fattori esterni: dai media, dalla politica, dagli interessi sociali. Ad ogni risposta la differenza tra la percezione dei cittadini e quella dei giudici è abissale. Il 54% dei cittadini, ad esempio, pensa che i magistrati possano essere influenzati dai media mentre solo il 18% dei giudici vede questo “pericolo”.
“Ecco - sottolinea Legnini - se i cittadini percepiscono il rischio del condizionamento a maggior ragione un magistrato deve stare attento ad esternare. E dico questo anzitutto a tutela dell'indipendenza della magistratura”.
Inevitabile, a questo punto, evocare un altro punto critico del “Davigo pensiero”, quello relativo alla prescrizione vista come "una vergogna”. Per Legnini non è così: “La prescrizione non è una vergogna”. E comunque ricorda, davanti alle esternazioni di un magistrato, il Csm ha “poche armi spuntatissime”.
Insomma, a Legnini non piace la “giustizia spettacolo”. E non piace nemmeno il fatto che “essere indagati dovrebbe essere una garanzia mentre si è trasformato in gogna” o ancora la durata, spesso irragionevole, dei processi: “La giustizia che arriva tardi è in modo incontestabile una giustizia ingiusta”.
Un'ultima stoccata il vicepresidente del Csm la riserva ai magistrati che scelgono di fare politica: “Se un giudice decide di candidarsi, se decide di accettare una carica pubblica, un incarico politico, un incarico di governo, è bene che non torni a fare il magistrato. Io penso questo. Sono ottimista sul fatto che nella magistratura il rapporto dell'accesso a cariche pubbliche e elettive sia indirizzato verso una soluzione”.
Ma nela sua lunga intervista Legnini ha parlato anche del codice antimafia (la cui applicazione, ha spiegato, non sarà “facilissima”) e di intercettazioni: “La riforma è attesa da molto tempo e d'altronde la delega, contenuta nella più ampia riforma del processo penale, va attuata. L'obiettivo è rafforzare le garanzie soprattutto per tutelare la riservatezza per le comunicazioni e i colloqui irrilevanti. E ciò senza limitare il diritto di cronaca. Mi auguro che il testo conclusivo corrisponda a queste grandi direttrici”.
L'ultimo passaggio e per la “supplenza” che, spesso, la magistratura si trova a fare della politica: “Non ci trovo nulla di improprio se la magistratura associata sollecita il Parlamento a disciplinare materie che non hanno disciplina. Il giudice non può creare il diritto ma non può nemmeno applicare meramente la legge”.
L'editoriale del direttore