Accanimento giudiziario
Nel caso Dell'Utri non ha prevalso né il senso di giustizia né d'umanità
l tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta di scarcerazione di Marcello Dell’Utri, che voleva curarsi presso una struttura sanitaria milanese. E’ la seconda volta che la richiesta viene respinta, nonostante anche i consulenti dello stesso tribunale avessero espresso parere favorevole alla scarcerazione, ritenendo incompatibile la detenzione con la cura necessaria. Qualunque cosa si pensi del caso Dell’Utri, è evidente che – se fosse scarcerato per curarsi delle gravi patologie di cui soffre – non rappresenterebbe alcun pericolo.
Mancano quindi le ragioni che hanno portato a negare a importanti capi della criminalità organizzata la scarcerazione. Anche per questo l’accanimento contro Dell’Utri appare ingiustificato sotto un profilo giuridico e incomprensibile sotto il profilo umano. La pena non deve essere afflittiva, secondo la Costituzione, e impedire a una persona anziana e gravemente malata che non costituisce un pericolo per nessuno di curarsi nel modo più adeguato, è un segno di barbarie. Anche per il sistema carcerario italiano, tanto spesso accusato di inadeguatezza a livello internazionale, sarebbe meglio ridurre al minimo i casi di detenuti morti durante la prigionia a causa della inefficacia delle cure praticate nelle strutture sanitarie delle prigioni, che ovviamente non possono essere al livello qualitativo di quelle esterne.
Le ragioni per permettere a Dell’Utri una cura all’esterno del carcere sono molte, invece non se ne vede nessuna a sostegno della decisione assunta dal tribunale di sorveglianza, il che naturalmente fa venire il sospetto che abbia prevalso non il senso di giustizia e di umanità, ma una sorta di spirito vendicativo, portando a un trattamento disumano solo per la notorietà del soggetto interessato.