Denis Verdini (Foto LaPresse)

La legge uguale per tutti, ma non per Verdini

Redazione

Ridotta la pena per il fallimento della banca. Restano i toni inquisitori

La Corte d’appello di Firenze ha ridotto la pena a Denis Verdini, pur confermando la condanna per bancarotta del credito cooperativo fiorentino, banca di cui era presidente. Dai 9 anni del primo grado si scende a 6 anni e un mese in appello, il che implica una prima revisione del giudizio iniziale, visto che anche l’accusa aveva ridotto le richieste di condanna. La vicenda riguarda il dissesto della banca, che secondo l’accusa è stata conseguente al comportamento spregiudicato del presidente e dalla acquiescenza del cda. Di banche che hanno prestato denaro a clienti poi risultati insolventi ce ne sono molte, tanto che il problema dei crediti deteriorati è diventato una questione primaria per il settore creditizio. Ma il fallimento è per tutti bancarotta fraudolenta? Viene il sospetto che lo sia solo per Denis Verdini, e per il ruolo che ha svolto in politica. La sentenza, da questo punto di vista, suscita molte perplessità, che c’è da sperare saranno chiarite dalla Cassazione. I toni dell’accusa soprattutto nella prima fase del procedimento tendevano a descrivere Verdini come una specie di Rasputin, in grado di imporre la sua volontà a collaboratori, amministratori e sindaci, mentre le difficoltà complessive del settore bancario in quella fase sono state messe in ombra.

  

Che l’andamento della banca fosse critico lo aveva messo in luce il rapporto della Banca d’Italia, ma il comportamento di Verdini è stato quello di chi si batte per salvarla a ogni costo, non quello di un bancarottiere profittatore. Sicuramente sono stati commessi errori e leggerezze, che su un tessuto finanziario fragile hanno finito per produrre uno squilibrio dei conti esiziale. Se questo costituisca un reato, per giunta doloso e volontario, è ancora tutto da dimostrare.

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