Il Csm secondo Davigo (fa paura)
Il magistrato spiega la sua linea al Fatto: manette e interventismo in politica
Le elezioni della parte togata del nuovo Csm si sono concluse, ma il neo consigliere Piercamillo Davigo non smette di fare campagna elettorale. Anzi, in un’intervista a Marco Travaglio sul Fatto quotidiano fa capire già quale sarà la sua linea nei prossimi mesi: manette e interventismo in politica. L’accomodante conversazione con il direttore del Fatto comincia con le bordate dell’ex pm di Mani pulite contro l’istituzione per la quale è stato eletto, cioè quel Csm accusato di “promozioni talora scandalose, clientelari, ‘a pacchetto’”. Meccanismi ai quali anche Davigo e la sua corrente hanno partecipato fino a ieri (è stato il Csm a nominarlo presidente in Cassazione). Poi Travaglio in maniera inusuale chiede a Davigo “se” recepiranno le linee guida sulla comunicazione delle toghe, approvate dal Csm uscente per provare a fermare la gogna mediatica contro gli indagati (come se il nuovo Csm fosse chiamato a recepire o meno regole da se stesso approvate pochi giorni fa). “Spero proprio di no”, replica Davigo, parlando di “bavagli” e aggiungendo che per i pm che abusano delle indagini per farsi pubblicità sono già previsti procedimenti disciplinari (e dove sarebbero?).
Poi, dopo aver ripetuto il suo mantra “Io non mi occupo di politica, semmai di politici che rubano”, ecco che l’ex pm dice la sua su riforma penale, carceri, intercettazioni, codice degli appalti e immigrazione (incluso il caso della nave Diciotti). Infine Davigo torna a far tintinnare le manette, affermando che si può essere considerati colpevoli già prima di una sentenza definitiva, di fronte a “fatti noti e non controversi” emersi dalle indagini. Non usa il termine “acclarato”, come ha fatto proprio Travaglio sul legame tra ong e scafisti, ma il senso è lo stesso: si è tutti colpevoli fino a prova contraria.