La discarica dello stato di diritto
Malagrotta, Cerroni assolto. Ma la procura aveva già vinto mediaticamente
L’imprenditore Manlio Cerroni, che era il responsabile principale della discarica di Malagrotta, essenziale per il sistema di smaltimento dei rifiuti della capitale, è stato assolto dalle accuse che gli erano state rivolte dalla procura, in un procedimento accompagnato fin dall’inizio da una grande attenzione mediatica, in parte suscitata dalla stessa procura. Negli atti dell’accusa Cerroni veniva soprannominato “il Supremo” per dipingerlo come il centro di una ragnatela di interessi illeciti.
Particolarmente significativo è un passo degli atti depositati dall’accusa, in cui si può leggere che “è quasi superfluo definire i fatti” mentre si insiste sulla “inaudita gravità” e sulle “dirette implicazioni sulla politica di gestione dei rifiuti e per le ricadute negative sulla collettività”.
Però questa tenebrosa lobby dei rifiuti non esisteva e comunque non ne era affatto responsabile Cerroni, appunto per via dei “fatti” evocati ma non dimostrati dall’accusa. La “associazione per delinquere” che Cerroni avrebbe “promosso e organizzato” è solo il soggetto di una trama romanzesca ideata dalla procura, senza prove e senza riscontri. La “serie indeterminata di reati d’abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, traffico di rifiuti, truffa aggravata, frode in pubbliche forniture e gestione illecita di rifiuti” era solo un castello di carte costruito sulla sabbia. La procura ha stravinto la battaglia mediatica, ha perso quella giudiziaria. Le indagini fatte giocando con i teoremi sono pericolose. Ma ancora più pericoloso è chi inquina la giustizia trasformando accuse non provate in sentenze definitive di condanna anche a discapito di una parola che in cronaca giudiziaria meriterebbe di essere ricordata più spesso per salvaguardare lo stato di diritto: non solo la presunzione di innocenza ma innanzitutto i fatti.