Il populismo giudiziario del caso Menarini
Assolti gli eredi di Alberto S. Aleotti in secondo grado. I danni di questo sistema
La Corte d’appello di Firenze ha ribaltato la sentenza di condanna, inflitta in primo grado a Lucia e Giovanni Aleotti per riciclaggio e truffa fiscale, e ha ordinato la restituzione dei 700 milioni sequestrati. La vicenda che ha coinvolto i proprietari delle industrie farmaceutiche Menarini, le più importanti d’Italia, con 17 mila dipendenti, riguardava il capitale che il padre Alberto Sergio, mancato nel 2014, aveva accumulato in Svizzera e che poi era stato fatto rientrare con i vari provvedimenti di scudo fiscale. In primo grado gli eredi erano stati condannati rispettivamente a pene di 10 anni e mezzo e 7 e mezzo, perché si era ritenuto che le somme fossero il risultato di una truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale, e quindi la loro acquisizione si configurava come riciclaggio.
In realtà, neppure in primo grado era stata provata l’origine truffaldina dei capitali, ma egualmente erano state annullate le protezioni previste dallo scudo e quindi si era arrivati alla condanna, che ovviamente aveva destato grande clamore mediatico e aveva anche deteriorato l’immagine dell’azienda, per quanto non direttamente coinvolta. Anche in questo caso la notorietà degli imputati, il carattere particolarmente odioso del reato originario attribuito al padre (il gonfiamento fraudolento del prezzo dei farmaci), forse qualche spirito di eccessivo protagonismo dei magistrati, ha portato a una sentenza di primo grado priva dei requisiti elementari: le prove.
In Appello, un esame meno affrettato ha messo in luce che questi reati o non esistevano o non erano stati commessi dagli imputati, che quindi sono stati assolti. Tutto è bene quel che finisce bene (ma se la procura ricorrerà in Cassazione la fine è ancora lontana). Ciò non toglie che un po’ di ponderazione, in particolare quando l’accusa coinvolge seppure indirettamente aziende e quindi lavoratori, sarebbe consigliabile.