Francesco Borrelli smontato da cavallo
La falsificante immagine elitaria di un inquisitore non poi diverso da Antonio Di Pietro
A proposito del compianto a prime pagine unificate, senza o quasi l’increspatura di un pensiero non si dirà critico ma almeno consapevole, che ha accompagnato Francesco Saverio Borrelli resta qualche notazione che non va taciuta. Tranne in rarissimi casi, l’eulogia per il procuratore capo di Mani pulite è stata monocorde, dimentica persino delle ammissioni di errore che egli stesso, anni dopo, aveva abbozzato. La camera ardente a mezzo stampa è stata un’altra occasione persa per riflettere sulle storture storiche e del sistema giudiziario. C’è poi l’immagine falsificata dell’elitarismo di Borrelli – che non è una colpa, se non diviene metafora eticizzante: l’amante della musica, il “Severo” in famiglia, l’appassionato di equitazione contrapposto alla furia plebea di Di Pietro a cavalcioni di un trattore. Ieri però il plebeo Tonino piangeva calde lacrime (“ma tante che / bagnava anche il cavallo”, avrebbe cantato Dario Fo). E tutti a celebrare il figliol prodigo e la ritrovata unità del pool. Mentre nessuno aveva sottolineato l’assenza del pm di Curno dall’elenco delle firme del saluto sul Corriere: segno di estraneità esibita, ma usato come indizio della diversità morale di Borrelli e di quelli davvero come lui. Questa visione falsificatrice che va contestata, poiché non basta montare con eleganza un cavallo, anziché un trattore, per essere immuni dal peccato populista.
Fu Borrelli che, quando si accorse della forza d’urto del giustizialismo, lo sposò in pieno e lo usò. Fu Borrelli a pronunciare quel triplo “resistere” che era la versione in toga della Volontà popolare di Rousseau. Fu Borrelli a legittimare in senso politico le scelte d’investigazione del suo pool, fino a rendere esplicita la disponibilità a un governo di supplenza. Il governo dei giudici. Con i suoi modi colti, che foderavano una visione intimamente castale della politica, Borrelli è stato il consapevole alchimista non di un golpe, idea grossolana, ma di una involuzione democratica delle istituzioni. E’ morto negli stessi giorni a New York Robert Morgenthau, l’ex procuratore di New York per mezzo secolo l’emblema stesso della lotta alla corruzione. Era un uomo ben inserito in un sistema istituzionale e politico, esattamente come lo è stato Francesco Saverio Borrelli. Soltanto che Morgenthau era inserito in un sistema giusto e bilanciato in cui, ad esempio, la carcerazione non viene utilizzata come strumento di indagine. Borrelli è stato protagonista di un sistema ingiusto, e ne era consapevole, e lo ha sfruttato come l’ultimo degli inquisitori del popolo.