Contro una cattiva legge sulle intercettazioni
Nessun freno alla pubblicazione delle conversazioni irrilevanti. Un bel guaio
Il governo ha incassato la fiducia del Senato sul decreto intercettazioni, con 156 voti a favore e 118 contrari (il leader di Italia viva, Matteo Renzi, non ha partecipato al voto). Il decreto, che ora dovrà ottenere il via libera della Camera, modifica (o, per meglio dire, annacqua) la riforma Orlando varata due anni fa dal governo Gentiloni, la cui entrata in vigore però era stata continuamente prorogata. Una delle principali novità contenute nel decreto riguarda l’estensione dell’uso dei trojan, cioè dei captatori informatici inoculati nei dispositivi elettronici per effettuare intercettazioni ambientali. Se prima il trojan poteva essere utilizzato per i reati di mafia, terrorismo e quelli contro la Pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali, ora il decreto ne estende l’uso anche alla figura dell’incaricato di pubblico servizio, per i reati contro la Pa per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore a cinque anni.
Potranno quindi essere spiati, in maniera invasiva, tutti coloro che svolgono una funzione pubblica (dai medici ai postini e bidelli). Un’altra novità è che sarà il pubblico ministero, e non più la polizia giudiziaria come previsto dalla precedente riforma, a dover selezionare il materiale per stabilire quali siano le intercettazioni di rilievo per le indagini e quelle, invece, irrilevanti. Gli avvocati, inoltre, potranno avere accesso a tutto il materiale di intercettazione depositato, senza i limiti che invece stabiliva la riforma Orlando.
Le intercettazioni saranno depositate per via telematica e il procuratore della Repubblica sarà responsabile di sorvegliare l’archivio digitale. Se a tutto ciò si aggiunge che nei confronti dei giornalisti che pubblicano le intercettazioni coperte da segreto continueranno ad applicarsi le norme (inconsistenti) attualmente in vigore, si comprende bene come le modifiche apportate dalla nuova maggioranza rischino di vanificare l’obiettivo centrale su cui si era fondata la riforma del 2017: limitare la pubblicazione delle intercettazioni penalmente irrilevanti e lesive della privacy degli indagati. Insomma, la gogna mediatico-giudiziaria rischia tristemente di proseguire.