Non lasciate sfiduciare i ministri dai pm
Difendere dalla cultura del sospetto pure gli impresentabili. Compreso Bonafede
Il più discusso dei magistrati, Nino De Matteo, accusa il peggiore dei ministri della Giustizia, Alfonso Bonafede, di non averlo nominato al dipartimento carcerario per un cedimento alle pressioni dei mafiosi. Di Matteo non ha nessuna prova di quel che dice, ma per lui basta il sospetto per denunciare e condannare. Anche Bonafede condivide questo pregiudizio giustizialista, ma questa volta che viene utilizzato contro di lui replica risentito. Sarebbe facile dire che ha quel che si merita, che è caduto nella trappola di un’ideologia che ha tanto contribuito a propagare. E’ vero, ma neppure il peggiore dei giustizialisti può essere condannato, in questo caso politicamente, solo per un sospetto. Per essere garantisti davvero bisogna esserlo con tutti, quindi anche con Bonafede, si può dire persino con Bonafede. Le nomine spettano al ministro che ne porta la responsabilità, come di tutte le scelte politiche, spesso sciagurate, che hanno punteggiato il suo lavoro. Le ragioni per non avere fiducia in lui stanno in quel che ha fatto, non in quel che non ha fatto.
Resta il fatto di un magistrato che lancia accuse “infamanti” come ha detto lo stesso Bonafede, che ha quindi affermato il falso, secondo il ministro, ma che continua a sedere nel Consiglio superiore della magistratura. Se si deve discutere di qualcosa non è per chiedere dimissioni, ma per rendere evidente il danno che le spinte giustizialiste e la cultura del sospetto fanno alla credibilità del sistema giudiziario, non solo quando c’è una rissa rusticana tra due esponenti di questo modo di pensare. Anche le opposizioni dovrebbero rinunciare a utilizzare questa vicenda per cercare di mettere in difficoltà il governo approfittando delle tendenze giustizialiste largamente presenti nei 5 stelle. Combattere la linea di politica giudiziaria del governo è sacrosanto, dare credito anche solo strumentalmente a Di Matteo invece no. In questo modo gli si dà un peso e persino un ruolo nella vita delle istituzioni che non può esercitare, così come non può continuare a presentare tutte le scelte che non gli piacciono come l’effetto di una presunta “trattativa tra stato e mafia”.