editoriali
I dilettanti dell'antimafia
La gogna in Parlamento di Bonafede, vittima del suo stesso giustizialismo
C’erano una volta i professionisti dell’antimafia, e ci perdonerà Sciascia se lo trasciniamo in certe bassezze, ma alla Camera si è assistito a una rissa delle comari, a un teatrino di dilettanti dell’antimafia. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha reso una informativa sulla vicenda della nomina del capo del Dap nel 2018. In pratica il ministro – esponente di spicco di un partito che ha contribuito a diffondere la cultura del sospetto e della gogna, e che ha sventolato la retorica antimafiosa fino al goffo decreto per far tornare in galera i boss per altro mai usciti – ha dovuto rispondere alle insinuazioni fatte tramite televisione da un tardo epigono dell’antimafia, di meno talento dei suoi predecessori: il dottore Di Matteo. E all’accusa infamante del dottore Di Matteo di non averlo nominato a capo del Dap a causa di pressioni della mafia.
In un paese normale di fronte a queste accuse o il ministro si dimette o – e sembrerebbe la via più logica – il dottore che ora sta al Csm va in tribunale a rispondere di diffamazione. Nella politica attuale, Bonafede è di fatto inamovibile, altrimenti precipita il governo: ma questo è lo sfondo della farsa. La tragedia era invece che nel paese della politica inginocchiata davanti ai pm, che Bonafede incarna, ora è lui a dover difendere la sua “onorabilità” contro “verità e menzogne”. Faceva quasi tenerezza.
Il punto più esilarante, anzi rivelatore, è stato quando si è scagliato contro “i chiacchiericci” di “improvvisati esperti antimafia”. Cioè in pratica contro il dottore Di Matteo stesso e la sua claque. Lui, Bonafede, provava ad atteggiarsi come un servitore dello stato a schiena dritta. Peccato che il percorso delle repliche sia stato per lui un doloroso gioco del soldato: a schiena girata, a cercare di indovinare da chi gli arrivavano i ceffoni più forti. Scontati quelli della Lega (ma da che pulpito) e di Forza Italia, è stata invece notevole la scudisciata di Michele Bordo del Pd, che ha rinfacciato al ministro del governo di cui è azionista, e al M5s, di aver contribuito a diffondere la cultura del pregiudizio di cui ora è vittima. Da ultimo lo scappellotto di Maurizio Lupi alla tragica figura del giustizialista messo alla “gogna mediatica”. Dai professionisti ai dilettanti.