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editoriali

La scommessa vinta di Beppe Signori

Redazione

Dieci anni di gogna giudiziaria per un’accusa finita in niente. Un’altra volta

Beppe Signori è un uomo simpatico e allegro, ora ha 53 anni, e ha sempre amato le scommesse. Resta famosa per il pubblico televisivo quella sua sfida a mangiare un Buondì nel tempo di fare trenta passi: nessuno c’è mai riuscito. Chissà se i magistrati di Cremona avevano in mente anche questa sua passione, legittima ed extra calcistica, quando nel 2011 lo indagarono per una delle classiche inchieste monstre italiane sullo sport, un nuovo capitolo del “calcioscommesse”.

 

L’ex bomber di Foggia, Lazio (i suoi anni migliori), Bologna e Nazionale finì anche agli arresti domiciliari, due settimane. Era stato accusato – ormai a fine carriera, e con nessuna urgenza economica a fare da movente – di aver aggiustato una partita Piacenza-Padova in combutta con criminali detti “quelli di Singapore”. La giustizia sportiva lo squalificò per cinque anni. Lo stesso calvario che toccò a Paolo Rossi, oggi celebrato come eroe nazionale. Ma ieri, dopo dieci anni di tormento giudiziario e di gogna (si diventa presto degli appestati, se si è famosi ma si finisce indagati) Signori è stato assolto “perché il fatto non sussiste”. Lui, da uomo solare e coraggioso, aveva rifiutato la prescrizione, voleva essere riconosciuto innocente: “Vittoria nettissima, senza se e senza ma”, ha commentato uscendo dal tribunale. “In qualche modo vengo ripagato, giustizia parziale è stata fatta”. Parziale. Ma “sono stati 10 anni di inferno, la mia vita è cambiata in tutto”, aveva ammesso poco tempo fa, quando si era chiuso, con prescrizione stavolta accettata poiché era un processo collettivo, un procedimento addirittura per “associazione a delinquere”.

 

Beppe Signori resta nei cuori degli appassionati come il calciatore bravo e generoso che è stato, e questo non gli sarà tolto. Molte altre vittime di una giustizia spettacolare, e sovente complottista e fallace, non hanno nemmeno questo risarcimento morale.

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