editoriali
Intercettazioni illegali, ancora
La deriva di una giustizia che fa pedinare un cronista senza che sia indagato
Nel 2017 la procura di Trapani che indagava sui presunti legami fra ong e trafficanti di esseri umani ha intercettato le telefonate e ha monitorato gli spostamenti di alcuni giornalisti che si occupavano di immigrazione in Libia. La notizia l’ha pubblicata Domani, che ha visionato un dossier redatto dalla Polizia e dalla Guardia costiera. In questa vicenda ci sono alcuni aspetti inquietanti che tradiscono falle nella metodologia impiegata finora dalle procure italiane che indagano sul traffico di esseri umani. Il più lapalissiano è la violazione del segreto professionale dei giornalisti, aggravata da un’altra considerazione: se gli inquirenti vogliono risalire alle fonti dei cronisti per capire cosa succede in Libia, vuol dire che le autorità italiane hanno una grave carenza di informatori nel paese che dovrebbe essere “il cortile di casa nostra”.
E ancora: fra i giornalisti intercettati – Nancy Porsia, Nello Scavo, Francesca Mannocchi, Sergio Scandura, Fausto Biloslavo, Claudia Di Pasquale – nessuno era indagato e le conversazioni non riportano nulla di penalmente rilevante: ne consegue che un loro coinvolgimento nel traffico di esseri umani non è ipotizzabile. Infine, nel caso di Nancy Porsia, gli inquirenti si sono spinti alla trascrizione – illegale, in violazione della tutela al diritto della difesa – di una telefonata con il suo avvocato, Alessandra Ballerini (che segue anche la famiglia Regeni) a cui confidava le minacce ricevute dalle milizie libiche. Non solo, Porsia era pedinata e gli inquirenti tracciavano i suoi spostamenti. A pensar male si fa peccato ma il tutto alimenta la tesi di un tentativo andato male di gettare discredito su chi quotidianamente rende conto di storie spesso finite in secondo piano. Se tante volte, proprio su queste colonne, abbiamo stigmatizzato lo sbandieramento sui giornali di intercettazioni illegali, il medesimo principio deve valere anche nei confronti degli stessi giornalisti (categoria che a sua volta dovrebbe però indignarsi per le intercettazioni illegali anche quando queste non riguardano i giornalisti). Sarebbe una delle regole auree di uno stato di diritto.