Editoriali
Né “liberi tutti”, né manettari
Il giusto equilibrio che servirà in Parlamento per superare l’ergastolo ostativo
Giuseppe Pignatone, già procuratore della Repubblica di Roma e ora, su nomina del Pontefice, presidente del Tribunale di prima istanza della Città del Vaticano, commenta su Repubblica la recente sentenza della Corte costituzionale che chiede al Parlamento di modificare entro un anno le norme sull’ergastolo ostativo per i mafiosi, altrimenti le dichiarerà illegittime. Pignatone ricorda come in passato la stessa Consulta avesse invece riconosciuto la legittimità di quelle stesse norme e mette in guardia contro il rischio che venga a mancare uno strumento giuridico specifico per contrastare il fenomeno mafioso che reputa in espansione.
Riconosce però che per la cultura giuridica attuale, nazionale e soprattutto europea, quelle specifiche formulazioni sono superate. Per essere l’opinione dell’inventore del teorema di Mafia Capitale, poi smentito clamorosamente dalla Cassazione, è abbastanza equilibrata. Quello che manca è un indirizzo, un orientamento per quanto generale su come la questione può essere affrontata con giudizio in Parlamento. Pignatone scrive che bisogna “evitare di estendere ad altri fenomeni criminali meno gravi le norme più severe messe in campo contro le mafie” e su questo ha ragione da vendere. Oltre che spiegare che cosa non si deve fare, però, sarebbe utile che si cominciasse a ragionare su quel che si può fare, per esempio aiutando i giudici di sorveglianza a decidere sulla concessione dei benefici previsti con l’apporto di chi ha esperienza nel campo, in modo da superare il divieto assoluto di concessione senza cadere nella logica altrettanto pericolosa del “liberi tutti”. E’ proprio da chi ha maturato esperienze nel contrasto alla criminalità mafiosa che ci si può attendere questo contributo, ferma restando naturalmente l’autonomia del Parlamento cui spetta la funzione legislativa.