editoriali
Mannino e l'ossessione persecutoria
Pm contro la Cassazione. Non è un incubo, è il processo sulla trattativa
In una giustizia ormai impazzita può accadere persino questo, e cioè che dei pubblici ministeri durante il processo si spingano a criticare una sentenza definitiva di assoluzione riguardante un cittadino imputato in un altro procedimento già concluso. E’ ciò che è accaduto lunedì a Palermo, dove è in corso il processo d’Appello sulla cosiddetta trattativa stato-mafia. La procura generale palermitana, rappresentata in aula dai sostituti procuratori Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, ha infatti depositato una memoria di 78 pagine in cui critica la sentenza di assoluzione ottenuta dall’ex ministro Calogero Mannino nel processo stralcio sulla trattativa. La sentenza di assoluzione, emanata in primo grado in rito abbreviato e confermata in Appello (contro la richiesta di condanna della stessa procura generale di Palermo), è diventata definitiva lo scorso dicembre, dando una spallata micidiale al filone principale del processo (l’accusa nei confronti di Mannino era infatti quella di aver promosso la trattativa fra lo stato e Cosa nostra).
Con un’azione a dir poco irrituale, la procura generale nella memoria depositata si spinge a parlare di “manifesta illogicità della motivazione assolutoria” dell’ex ministro Mannino, “con riferimento ai fatti in precedenza accertati nel procedimento a carico dello stesso per concorso esterno in associazione mafiosa, indicativi di pluriennali rapporti con importanti esponenti mafiosi”. Qui il paradosso come notato dall’Adnkronos diventa persino doppio. Nel 2010, Mannino è stato assolto in via definitiva anche nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa, anche in quel caso contro le richieste di condanna avanzate dagli indomiti pg palermitani. “Non si mette in discussione il giudicato assolutorio, ma c’è la necessità di parlarne”, ha dichiarato Fici in aula, rivelando una singolare concezione della giustizia, più vicina all’“ossessione persecutoria”, come la definì dopo l’ultima assoluzione lo stesso Mannino (da trent’anni nel mirino della magistratura palermitana), piuttosto che allo stato di diritto.