Editoriali
Riva e la gauche
Perché chi ritiene Vendola innocente non ha dubbi sui patron di Ilva?
La sentenza Ilva è stata definita “storica”, e senza ombra di dubbio lo è per le motivazioni, il valore simbolico e l’entità delle condanne: 26 condanne, 270 anni complessivi di carcere e confisca degli altiforni. In larghissima parte l’accezione è stata intesa positivamente. La più grande acciaieria d’Europa, o meglio la gestione privata dal 1995 al 2012, è stata un “disastro ambientale”: ha devastato salute e ambiente violando le leggi. Le condanne più elevate sono state inflitte ai “padroni”, 22 anni all’amministratore Fabio Riva e 20 anni al fratello e presidente Nicola Riva. I figli del patron Emilio la figura perfetta per incarnare i “villain” (i cattivi della situazione) e, infatti, nessuno se l’è sentita di esprimere un dubbio o spendere una parola in loro favore a proposito di una condanna senza precedenti.
Insieme a loro è stato condannato a 3 anni e mezzo Nichi Vendola, per concussione aggravata, per aver cercato cioè di fare pressioni che favorissero i crimini ambientali dei Riva. L’ex governatore della Puglia, dopo aver lasciato la politica per questa inchiesta e dopo anni di silenzio, si è ribellato alla sua condanna, esprimendo parole durissime: “Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità”, ha detto Vendola, parlando di una “mostruosità giuridica” e di una condanna “senza l’ombra di una prova”: è “l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata, i giudici hanno commesso un grave delitto”. L’ex leader della sinistra ambientalista, giustamente e legittimamente, difende la sua innocenza e la sua storia politica. E a Vendola sono arrivate tantissime manifestazioni di solidarietà, da parte di tanti che credono fermamente nella sua estraneità. Sono gli stessi che, però, non hanno tanti dubbi sulla colpevolezza dei Riva e degli altri imputati. Ma proprio il caso di Vendola, per chi crede nella sua innocenza, dovrebbe indurre a riflettere anche sulle condanne inflitte a tutti gli altri imputati dai medesimi giudici.
il decreto paesi sicuri